Ecco di seguito alcuni tra gli esempi più famosi nella storia della psicoanalisi.
Freud, Jung e Sabina Spilrein
Nel 1904 Jung prese in analisi Sabina Spielrein, il suo primo caso analitico, per un periodo di circa due mesi. Al termine della breve analisi, i due iniziarono a lavorare assieme nel laboratorio di psicologia di Jung, e la Spielrein divenne studentessa di medicina. Quattro anni dopo il termine del trattamento iniziale, i due furono travolti da un’intensa e tempestosa relazione amorosa, che finì con l’aggressione e il ferimento di Jung da parte della Spielrein, una volta che lui aveva tentato di chiudere la relazione.
Se ne puo’ dedurre che sebbene l’analisi fosse conclusa da tempo, le dinamiche transferali e controtransferali avevano continuato ad esistere anche fuori - e dopo - lo stesso trattamento, fino alla conseguente reazione violenta (abbastanza scontata in simili situazioni), prodotta da quello che è stato definito come “trauma da cessazione” (Gabbard, 1992). Infatti, secondo le ricostruzioni accurate di A.Carotenuto (1980) e J.Kerr (1993), è molto probabile che la Spielrein avesse scelto di intraprendere la via della medicina per potersi avvicinare ulteriormente al maestro; inoltre, lo stile personologico e intellettuale della giovane donna sembrava incastrarsi alla perfezione con i desideri di un uomo che, non solo evitò sempre di utilizzare il termine transfert nella descrizione del suo rapporto con lei (probabilmente perché il termine avrebbe tolto esclusività e autenticità alla relazione con lui come persona unica e reale), ma, appassionato di occultismo e parapsicologia, fu convinto fino alla fine che fossero legati da vincoli mistici e telepatici. Jung provò a razionalizzare la relazione intercorsa in una lunga lettera rivolta alla madre della Spielrein, scrivendole che non l’aveva mai fatta pagare per i servizi svolti e che ogni sua azione era stata dettata da profondi sentimenti d’amicizia, tuttavia, alla fine dovette chiedere aiuto a Freud per riuscire a districarsi dalla questione, che, contrariamente alle aspettative stesse di Jung, fu sorprendentemente comprensivo (scrivendogli di “essersela cavata per miracolo” in situazioni simili alla sua).
Freud per primo infatti, nel suo lavoro con le pazienti isteriche, si rese conto quanto capitasse molto spesso che i pazienti si “innamorano” dei loro terapeuti, aspettandosi sentimenti reciproci, e che come proprio questo “amore” da parte del paziente fosse essenziale per la cura e il buon coinvolgimento al processo di terapia. Nella corrispondenza tra Freud e Jung, il primo scrive che “si tratta proprio di una guarigione mediante l’amore. (…) Le nostre guarigioni, sono guarigione d’amore” (McGuire 1974): non nel senso che l’amore (gratificante) dell’analista sia l’agente curativo della terapia, ma che l’amore (transferale) del paziente sia essenziale al processo di “guarigione”. Arrivò persino a dire che fosse la stessa attrazione erotica a far sì che il paziente, nonostante la frustrazione dei propri desideri, si sforzasse di ascoltare e capire le interpretazioni dell’analista.
Con questa relazione Jung rischiò seriamente di distruggersi completamente la carriera, e la Spielrein, portata sull’orlo della disperazione, continuò sempre a sentirsi profondamente usata e ferita.
Freud, Ferenczi e Elma Palos
Situazione simile accadde ad un altro pupillo di Freud, Ferenczi, che ricorda un po‘ l’atmosfera a rovescio del film “Il laureato” di M.Nichols (1967). Infatti Ferenczi, non solo era diventato amante di Gisella Palos, una donna sposata che era stata una sua analizzata, ma successivamente si innamorò anche di sua figlia, Elma Palos, proprio durante la sua analisi personale. Probabilmente accortosi lui stesso dell’intreccio malsano, Ferenczi convinse Freud a prendere in carico Elma: la cosa sconcertante fu che Freud nel mentre fece regolari resoconti sul contenuto della terapia di Elma a Ferenczi, inviando lettere riservate a Gisella per informarla sulla situazione sentimentale del suo allievo. Ma la storia non finì qui: Ferenczi riprese in analisi Elma, ma poi, sotto pressioni esplicite di Freud che nella corrispondenza con il suo allievo aveva fatto commenti molto sprezzanti su Elma (probabilmente, suggerisce J.Dupont, perché Freud era preoccupato che una famiglia e dei bambini avrebbero distratto l’allievo dalla “causa” psicoanalitica), finì per sposare Gisella.
Questa storia contorta e poco etica affonda le radici nel rapporto stesso tra Freud e Ferenczi. Infatti i due nel corso degli anni svilupparono la relazione di mentore-allievo, analista-analizzando, intimi amici, compagni di viaggio (sulla nave verso l’America per alcune conferenze assieme, in cui fecero un po’ di analisi reciproca), e infine genitore-figlio (Freud nelle corrispondenze con Ferenczi lo appella spesso con l’espressione “caro figlio”). Inoltre sembra che Freud desiderasse che Ferenczi diventasse marito di sua figlia (Haynal, 1994). Anni dopo, per fortuna, Freud si rese conto che è assai sconsigliabile prendere in analisi qualcuno con cui si ha una relazione d’amicizia, e che questa confusione di ruoli poteva portare errori e conseguenze anche gravi: Ferenczi infatti provò sempre grande risentimento verso Freud per le pressioni ricevute sulla questione di Elma, accusandolo di non aver mai individuato correttamente il proprio transfert negativo durante i propri incontri, e finendo poi di rompere definitivamente col maestro, amareggiato per l’analisi “didattica” ricevuta.
E’ probabile che fu il retaggio di queste vicissitudini a portare Ferenczi a sviluppare successivamente ciò che passò alla storia con l’espressione “analisi reciproca”: egli infatti prese in carico quattro pazienti americane per il trattamento di un’ora, seguito a sua volta da un’altra ora in cui sarebbero state le pazienti ad analizzare lui (in un vero e proprio scambio di ruoli). Fenomeno che dimostra chiaramente la confusione di Ferenczi tra il suo stesso bisogno di essere curato e quello delle sue pazienti (come successe con gli scambi analitici reciproci avvenuti in passato con Freud?). Un’altra manifestazione abbastanza inquietante del bisogno di Ferenczi di essere amato (molto probabilmente da una madre fredda e distaccata, come indica lui stesso nella sua biografia), riguardava la tecnica utilizzata con alcune pazienti che considerava realmente vittime di traumi o abusi infantili: essa infatti includeva l’uso di abbracci e baci per diventare genitori affettuosi e cercare così di riparare il danno subito in passato.
Freud, Jones e L.Kann
Ovviamente Freud fu coinvolto in un’altra vicenda: quella tra l’allievo E. Jones e Loe Kann (ex paziente, poi moglie). Una volta sposato, in Canada Jones fu accusato di: raccomandare ai suoi pazienti di masturbarsi, invitare uomini giovani da prostitute, mostrare cartoline erotiche per stimolare le loro fantasie sessuali... finchè, per evitare uno scandalo, pagò il ricatto di una paziente che lo aveva accusato di aver avuto rapporti sessuali con lei (fatto tuttavia mai dimostrato). In seguito Jones chiese a Freud di prendere in analisi la moglie Kann (affetta da numerosi sintomi somatici e dipendenza da morfina), il quale (violando di nuovo la riservatezza della sua paziente), era solito inviare regolari resoconti al marito di lei. Alla fine Freud (che a quanto pare era disposto a tutto pur di far sopravvivere la sua neonata creatura, agendo con tutt’altro spirito rispetto a quello di neutralità teorizzato nei suoi scritti), giudicando Jones esageratamente impulsivo dal punto di vista sessuale (che nel mentre aveva intrecciato una relazione sessuale con la domestica, Lina), guidò Kann verso un altro uomo, un giovane americano di cui era attratta (Herbert Jones).
Conclusioni
Come si può evincere da questi episodi, le vite private e professionali di questi personaggi erano intrecciate in ogni forma possibile, spesso al limite dell’assurdo (basti pensare che Freud e Melanie Klein arrivarono ad analizzare i loro stessi figli!). Ecco forse che alla luce di questi scabrosi episodi, diventano molto più comprensibili il rigore tecnico e l’enfasi più volte sottolineata da Freud sul principio dell’astinenza, perennemente preoccupato - a quanto pare giustamente - dal comportamento etico dei suoi allievi, che avrebbe potuto far crollare da un momento all’altro l’impalcatura della nuova disciplina. Eppure, nonostante le trasgressioni sessuali tra paziente e analista fossero di fatto frequenti tra i primi discepoli di Freud, l’avanzamento della psicoanalisi e il suo sviluppo clinico e scientifico sembravano mettere in secondo piano le considerazioni etiche su questa neo professione.
E se è vero che la storia non smette di ripetersi, riferendosi a tempi più recenti, occorre riportare che violazioni del setting sono accadute anche a grandi esponenti del mondo della psicoanalisi: Margaret Mahler ebbe una relazione sessuale con il suo analista (August Aichorn), Karen Horney con un proprio candidato molto più giovane di lei che aveva in analisi, Frida Fromm-Reichmann si innamorò di un suo paziente (Erich Fromm) che poi sposò (per poi divorziare poco tempo dopo), Donald Winnicott coprì gravi violazioni commesse da suoi allievi (come Mahsud Kahn, nel famigerato scandalo della Società piscoanalitica brittanica)... Inoltre c’è da dire che le violazioni non sessuali del setting sono molto più frequenti rispetto alle relazioni francamente sessuali tra paziente-analista: e allora capita purtroppo di sentire pazienti che fanno donazioni all’associazione di appartenenza dell’analista, tariffe esorbitanti richieste dai terapeuti sfruttando i forti sentimenti di dipendenza del paziente tutt’altro che scoraggiati, gravi infrazioni di neutralità analitica con intrusioni e richieste esplicite al paziente a vantaggio del terapeuta...
Giunti a questo punto, quando anche molti dei più importanti analisti della storia hanno avuto relazioni sessuali con i loro pazienti (a volte anche sposandoli), sembra che in linea teorica tutti i terapeuti possano essere protagonisti di ogni genere di trasgressione dei confini, compresi quelli sessuali. E la triste verità è che nemmeno una lunga analisi personale e anni di formazione psicoanalitica, costituiscano di fatto un’assicurazione assoluta contro la messa in atto di tali condotte (e non è raro che società e istituzioni psicoanalitiche abbiano molti scheletri nei loro polverosi armadi...).
La nozione dei confini professionali e dell’effetto sui pazienti della loro violazione (soprattutto dal punto di vista sessuale), è una questione relativamente recente, formatasi in buona parte dagli errori e dalle “trasgressioni” dei confini analitici degli antenati che per primi svilupparono la psicoanalisi. Fenomeno dovuto anche al fatto che la psicoanalisi, ai tempi ancora giovane e acerba, oltre a non possedere sufficiente esperienza clinica a riguardo, non aveva ancora elaborato sistematicamente il concetto di controtransfert, e dunque era priva di una solida cornice teorica con cui confrontarsi. Triste realtà, ma di fatto il pieno sviluppo di una concettualizzazione del transfert e del controtransfert nacque proprio a seguito delle prime violazioni dei confini del setting analitico e da discutibili relazioni triangolari. Episodi che spinsero ben presto Freud a diventare consapevole del famoso fenomeno della “china scivolosa”, ossia il fatto che una prima violazione dei confini, apparentemente innocua e inoffensiva, gradualmente possa crescere verso più gravi violazioni, divenendo alla fine fortemente nocive e dannose per il paziente.
Per questo è utile conoscere la storia delle violazioni dei confini analitici e delle condizioni che ne hanno portato alla loro attuazione concreta (e non soltanto fantasticata), al fine di prevenire oggi altre messe in atto da parte dei terapeuti, non più ignari delle peculiari dinamiche che sorgono all’interno del setting analitico. Infatti si è notato che l’atteggiamento di un candidato analista tende a ricalcare quello del suo analista didatta, e quindi le macchie cieche di una generazione (e i diversi gradi di tolleranza dinanzi alle questioni etiche) tendono a perseverarsi in quella successiva. E’ ora di rendersi conto dell’impatto che questo tipo di violazioni hanno sui pazienti, che di fatto, non hanno alcuna forma di tutela, nemmeno da parte delle istituzioni psicoanalitiche stesse, purtroppo a volte più intente a preservare la propria integrità e reputazione, che il benessere del paziente.