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"Il mestiere di vivere" è il diario di Cesare Pavese

Aggiornamento: 5 ott 2021


"Il mestiere di vivere" è il diario di Cesare Pavese scritto tra il 1935 (l'anno dell'esilio a Brancaleone per antifascimo) e il 1950 (l'anno stesso in cui si tolse la vita), in cui annota lungo l'arco di tutti questi anni, pensieri, intuizioni, sensazioni e le sue confessioni esistenziali più intime. Curato da M. Mila, N. Ginzburg e I. Calvino, fu pubblicato da Einaudi nel 1952.


Questo diario è un viaggio interiore che ricorda molto un lungo e approfondito processo di autoanalisi, una sorta di laboratorio sperimentale di riflessioni personali, come tentò già Baudelaire col suo "Il mio cuore messo a nudo" del 1864. Scritto con una sincerità terribilmente asciutta, essenziale, cruda, spietata, il diario contiene i temi fondamentali di tutta la sua opera, costituendo di fatto l'autobiografia di un uomo che non ha saputo ingannare altrimenti la stessa morte che aveva già tediato in modo inquietante l'esistenzialismo.


Via via sempre più ermetico al mondo esterno e sempre più chiuso in se stesso nel corso degli anni, Pavese fu un palombaro che provò a gettare lo sguardo negli abissi che lo abitavano cercando di affrontare i fantasmi che lo tormentavano da tempo, senza però mai più riuscire a far ritorno a galla. Questo è ciò che resta di quell'immersione.


"Vivere tra la gente è sentirsi foglia sbattuta. Viene il bisogno d’isolarsi, di sfuggire al determinismo di tutte quelle palle da biliardo. (...) In fondo, l’unica ragione perché si pensa sempre al proprio io è che col nostro io dobbiamo stare più continuamente che non chiunque altro." Il mestiere di vivere, C. Pavese


"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" interpretata da V.Gassman



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