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Miti, fandonie e curiosità su Sigismund Schlomo Freud: tutta la (probabile) verità.

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Freud
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“L’essenza della psicoanalisi non puo’ essere imparata; puo’ solo essere vissuta” T. Reik


E’ stato detto, scritto e tramandato tantissimo su Sigmund Freud (1856 - 1939): nel tempo è stata raccolta una mole d’informazioni tale da essersi sviluppato oramai un vero e proprio genere letterario storiografico e biografico a parte. Tuttavia risulta sconcertante come ad oggi continuino a persistere ancora certi stereotipi e luoghi comuni grossolani sulla psicoanalisi e sul suo “inventore” (anche tra gli addetti alla professione che spesso ne parlano senza poi essersi mai curati di leggerlo).


Questo puo’ far pensare che le teorizzazioni freudiane continuino, a distanza di oltre un secolo, ad apparire scomode, sovversive, sconvolgenti... perturbanti. Infatti ciò che appare lampante è osservare, nonostante gli anni, come continui ad essere ignorato, lasciato da parte o trascurato il medesimo fenomeno di sempre : l’inconscio.


"Non credo che i nostri successi terapeutici possano competere con quelli di Lourdes; le persone che credono ai miracoli della Santa Vergine sono molto più numerose di quelle che credono all’esistenza dell’inconscio." S.Freud. Introduzione alla psicoanalisi. Seconda serie di lezioni. 1932


D’altronde era lo stesso Freud ad essersene accorto già ai tempi: andare a toccare violentemente la zona più gelosamente protetta nella mente umana, esige un alto pedaggio e causa un profondo senso di fastidio e ostilità.


Con questo risalto dato all'inconscio nella vita psichica abbiamo però risvegliato gli spiriti più maligni della critica contro la psicoanalisi. Non meravigliatevene, né crediate che la resistenza contro di noi derivi solo dalla comprensibile difficoltà dell'inconscio o dalla relativa inaccessibilità delle esperienze che ne, provano l'esistenza. A mio parere la sua origine è più profonda. Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di se. La prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell’universo bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile. Questa scoperta è associata per noi al nome di Copernico, benché già la scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile. La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la ricerca biologica annienta la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l'inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l'influsso di Charles Darwin, di Wallace e dei loro precursori, non senza la più violenta opposizione dei loro contemporanei. Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell'uomo è destinata a subirla da parte dell'odierna indagine psicologica, la quale ha l'intenzione di dimostrare all’Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche. Anche questo richiamo a guardarsi dentro non siamo stati noi psicoanalisi né i primi né i soli a proporlo, ma sembra che tocchi a noi sostenerlo nel modo più energico e corroborarlo, con un materiale empirico che tocca da vicino tutti quanti gli uomini. Di qui la generale ribellione contro la nostra scienza.

S. Freud (1915-1916), Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1975.



Ecco 5 cliché ricorrenti su Freud e la psicoanalisi:


1) Per Freud esiste solo il sesso e ogni problema è riconducibile al sesso


Creatura quanto mai strana è l’uomo: insaziabile, sempre inappagato, irrequieto, mai in pace con Dio o con se stesso, di giorno tende senza posa a inutili mete, di notte si abbandona a un’orgia di desideri proibiti e malvagi

J. London


L’antica accusa che Freud fosse ossessionato dal sesso è la più dura a morire: si puo’ dire che il clichè di una sessualità onnipresente nelle teorie freudiane sia nato con la celebre opera che scandalizzò il mondo nel 1905, ovvero i “Tre saggi sulla teoria sessuale” .


Non sarebbe possibile sintetizzare il suo pensiero sul tema meglio di quanto ha riportato lo stesso Freud:


Libido è un termine desunto dalla teoria dell’affettività. Chiamiamo così - considerandola una grandezza quantitativa, anche se per ora non misurabile - l’energia delle pulsioni attinenti a tutto ciò che puo’ venir compendiato come “amore”. Il nocciolo di ciò che intendiamo per amore è naturalmente costituito da ciò che viene chiamato amore comunemente e che i poeti celebrano, ossia all’amore fra l’uomo e la donna che tende all’unione sessuale. Non ne escludiamo tuttavia ciò che anche altrimenti si inserisce al nome d’amore, come da un lato l’amore per sé stessi, dall’altro quello per i genitori e per i bambini, l’amicizia e l’amore per gli uomini in generale, come pure l’attaccamento a oggetti concreti e a idee astratte. Ci è lecito farlo dacché la ricerca psicoanalitica ci ha insegnato che tutte queste tendenze sono l'espressione dei medesimi moti pulsionali che nei rapporti tra i sessi spingono all'unione sessuale, mentre in altre circostanze vengono deviati da tale meta sessuale od ostacolati nel suo raggiungimento. pur serbando ancora la loro natura originaria in misura sufficiente da mantenere riconoscibile la loro identità (casi dell'autosacrificio, dell'aspirazione all'avvicinamento). Riconosciamo quindi che, tramite la parola "amore" nelle sue molteplici accezioni, la lingua abbia creato una sintesi perfettamente legittima delle nostre discussioni e descrizioni scientifiche. Con questa decisione la psicoanalisi ha scatenato una tempesta d'indignazione, quasi si fosse resa colpevole di un'innovazione delittuosa. Eppure, tramite tale concezione "ampliata" dell'amore, la psicoanalisi non ha creato nulla d'originale. L'"Eros" del filosofo Platone mostra, riguardo alla sua provenienza, alla sua funzione e al suo rapporto con l'amore sessuale, una coincidenza perfetta con la forza amorosa, la libido della psicoanalisi. (..)Nella psicoanalisi tali pulsioni amorose vengono chiamate, a maggior ragione e in base alla loro provenienza, pulsioni sessuali. Le persone "colte" hanno perlopiù considerato tale denominazione un'offesa e si sono vendicate ritorcendo contro la psicoanalisi la taccia di "pansessualismo". Chi nella sessualità scorge qualcosa di vergognoso e di degradante per la natura umana è libero di servirsi dei più distinti termini "eros" ed "erotismo". Anch'io avrei potuto fare così fin dall'inizio e mi sarei in tal modo risparmiato molta opposizione. Ma non ho voluto farlo perchè preferisco evitare le concessioni alla pusillanimità. (...) Non posso scorgere alcun merito nel fatto di vergognarsi della sessualità: la parola greca eros, che dovrebbe mitigare lo sconcio, non è in ultima analisi altro che la traduzione della nostra parola tedesca Liebe, e infine, chi è in grado di attendere non ha bisogno di fare concessioni.

S. Freud (1921), Psicologia delle masse e analisi dell'Io. Boringhieri, Torino (1975). Pag. 35-36


E’ doveroso ricordare quindi che Freud non era un pansessualista; non eguagliò mai questo concetto di sessualità nell’accezione allargata con quello di sessualità in senso strettamente genitale; nè sostenne mai che la sessualità infantile si manifesti nelle stesse modalità dell’adulto (anche perchè ne mancherebbero le ovvie condizioni psicologiche e fisiche nel bambino). Tuttavia l’Eros di Freud continua a rimanere qualcosa di concreto, corporeo, affondando sempre in quella natura biologica che si intreccia inestricabilmente allo psichico (da cui “psicosessualità”), senza mai assumere un carattere astratto, platonico o connotazioni metafisiche.


Inoltre Freud di certo non inneggiava alla completa disinibizione istintuale (come più tardi invece fece a suo modo W. Reich, di idee marxiste): nella prospettiva di Freud l’uomo è tormentato inestricabilmente da un costante conflitto di forze in gioco e il potere occulto delle passioni (erotiche e distruttive) è presente in modo pervasivo in tutte le attività mentali. Per cui se l’uomo ha necessità della cultura per poter sopravvivere e “crescere”, la parziale rinuncia pulsionale che ne deriva reca inevitabilmente un’insoddisfazione fondamentale, e con un alto prezzo da pagare, in quanto da questo processo primordiale nascerà la rimozione. Le stesse istituzioni quindi che si adoperano per la sopravvivenza dell’umanità (arginandone le forze violente) diventano tuttavia la stessa causa del suo disagio.


Freud piuttosto si chiedeva se e in quale misura fosse possibile ridurre i sacrifici sul piano psichico e pulsionale imposto agli uomini da parte della cultura: secondo Freud sarebbe auspicabile una “vita sessuale molto più libera”, trovando una sorta di equilibrio tra frustrazione e soddisfacimento in modo da ottenere il massimo nuocendo il minimo. Dunque se è vero che diventa necessario controllare, incanalare in una qualche forma le pulsioni, esse tuttavia non vanno represse, perchè Freud aveva ben compreso che la ragione puo’ ben poco contro le passioni. La cultura nega insomma questi bisogni, ma non puo’ certo distruggerli.


Fa parte dell’opinione popolare sulla pulsione sessuale ritenere che essa sia assente nell’infanzia e che si risvegli soltanto nel periodo di vita che si definisce pubertà. Questo non è soltanto un errore banale, bensì un errore che comporta gravi conseguenze, perché è il principale responsabile della nostra attuale ignoranza sulle condizioni fondamentali della vita sessuale.

S. Freud. Tre saggi sulla sessualità. 1905



2) La psicoanalisi è anacronistica e morta in quanto figlia di una cultura passata vittoriana e reazionaria


Freud s'interessa a un mondo sfuggente quasi magico, ma al contempo vuole costruire un sistema di pensiero come una scienza. Il lato affascinate è proprio questo oscillare di continuo tra poli opposti. Era affascinato dalla lotta di Giacobbe con l'angelo. Animato da questa dialettica, è sempre intento a combattere contro l'ombra di se stesso. Insomma, era un uomo dell'illuminismo che s'interessava alle forze dell'irrazionale per portarle dalla parte dei Lumi.

E. Roudinesco


E’ vero, la psicoanalisi è passata di moda perdendo il monopolio di cui godeva come trattamento terapeutico per varie ragioni e altrettanti motivi socioculturali (per approfondimenti vedi qui). Tuttavia la psicoanalisi, anche nei periodi di massimo successo ha sempre occupato una posizione minoritaria e controcorrente rispetto alla società e alla cultura in generale nonostante i diversi cambiamenti nel tempo. Già alla sua epoca le idee di Freud furono oggetto di accese controversie, polemiche e scandali, provocando molto spesso l’opposizione degli ambienti psichiatrici: il ruolo e l’importanza dato all’inconscio, le forme della sessualità (a partire dall’infanzia), il potere degli eventi precoci, la centralità dei temi edipici nella vita famigliare, il funzionamento della mente nel meccanismo della rimozione, ecc. Spesso sia in Europa che negli Stati Uniti le idee di Freud venivano descritte come favole, affermazioni fantasiose, un insieme di indecenze, storie pornografiche, argomenti di discussioni più adatte per la polizia che per riunioni scientifiche. Eppure Freud non si preoccupava se le sue idee sarebbero apparse offensive o scabrose per la cultura del tempo: per Freud non esistevano templi sacri nei quali, in qualità di ricercatore, non si sentisse di dover entrare. Fino alla fine rimase fiero della schiera dei nemici che nel corso del tempo aveva raccolto attorno a sè (la chiesa cattolica, la borghesia ipocrita, i materialisti americani, l’ottuso ambiente psichiatrico...).


Poi chiaro che inevitabilmente Freud non fu immune dall’influsso della cultura ottocentesca (ed ebraica): sul piano etico, sociale e dell’abbigliamento Freud aveva lo stile del gentiluomo dell’Ottocento, coi suoi modi un po’ antiquati, restio nell’accettare le innovazioni tecnologiche (gradiva assai poco radio e telefono) e senza mai indossare il manto del riformatore sociale. Fu un esponente del positivismo, dello scientismo e dell’ateismo del suo secolo, con uno spirito fedele all’Illuminismo, ma sforzandosi sempre di attingere all’empirismo scientifico per costruire una teoria il più possibile scientifica della mente: Freud rivendicherà fino alla fine alla psicoanalisi “un posto tra le scienze naturali per il rilievo che essa ha dato all’inconscio” (Compendio di psicoanalisi, 1938), affinchè uno dei suoi compiti principali potesse essere quello di servirsi delle proprie scoperte per il sollievo della sofferenza psichica.


Tuttavia fu una voce completamente fuori dal coro rispetto alla tradizione della psichiatria del tempo (ma aggiungerei anche ai giorni nostri), che esigeva di spiegare ogni psicopatologia dal punto di vista esclusivamente biologico/somatico e con diagnosi esatte e nosologiche. La neurologia allora regnava sovrana, ignorando troppo spesso l’essere umano che si trova dietro la cosiddetta psicopatologia. Infatti fu Freud che per primo dimostrò come non vi sia una distinzione netta e qualitativa tra sanità e malattia e come il normale differisca dal patologico solo per un fattore quantitativo (vedi Psicopatologia della vita quotidiana, 1901). L’assurdità del sogno e le più folli idee degli psicotici più regrediti rappresentano cioè messaggi dotati, nonostante la loro forma contorta, di una loro razionalità.


Inoltre, contrariamente alla cultura del suo tempo, in modo avanguardistico Freud era tollerante e neutrale nei confronti delle svariate forme di sessualità: sosteneva che le fissazioni durante l’infanzia a oggetti precoci che non sono stati superati e integrati col resto della personalità (che si tratti di feticismo, di perversioni o di omosessualità -una delle tesi del pensiero freudiano è proprio l’intrinseca bisessualità della natura umana -), non fossero nè crimini nè peccati nè malattie nè sintomi di forme decadenti. Pensieri questi molto moderni, tutt’altro che conformisti e borghesi rispetto ai tempi.


Freud inoltre fu criticato in particolar modo per la sua visione delle donne (come sottolineò per prima K. Horney già dagli anni ‘30, vedendo - giustamente - contaminazioni culturali nelle teorizzazioni freudiani sulla femminilità), e non mancarono nemmeno accuse di misoginia. Eppure molto della storia di Freud dovrebbe sfatare la leggenda che egli appartenesse alla schiera reazionaria di coloro che si opposero all’affermazione dei diritti e dell’uguaglianza delle donne (molte allieve sostennero che secondo Freud le donne dovevano avere la stessa libertà sessuale e lavorativa degli uomini). Se è pur vero che Freud si atteneva all’ideale di donna di casa, materna e capace, egli tuttavia non ostacolerà mai - anzi, favorirà - le aspirazioni delle donne che vollero diventare psicoanaliste (come ad esempio R.Brunswick, H.Deutsch, L. von Salomè, J. Riviere, M. Bonaparte, L. de Groot… con cui ebbe un rapporto molto stretto). Ad esempio nel 1910 alcuni seguaci viennesi proposero di escludere le donne dalla Società psicoanalitica di Vienna: Freud si oppose con decisione alla scelta politica di escludere le donne dalla Società, definendola una “grossolana assurdità” (Nunberg - Federn, 1967). Di fatto nella storia “in nessun campo del sapere le donne sono state così presenti e attive come nella psicoanalisi. In veste di paziente, terapeuta, teorica, studiosa, o semplicemente di interlocutrice, esse vi hanno sempre partecipato da protagoniste” (S. Veggetti Finzi, 1995)


La psicoanalisi in sé stessa non è né religiosa né irreligiosa, bensì uno strumento imparziale di cui può servirsi sia il religioso che il laico, purché venga usato per liberare l’uomo dalle sofferenze. Sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che non avevo pensato all’aiuto straordinario che il metodo psicoanalitico può fornire alla cura delle anime, ma questo è certo successo perché un malvagio eretico come me è troppo lontano da questa sfera d’idee.

Lettera di Freud a Oskar Pfeister, 9 febbraio 1909.



3) Freud era un tipo freddo, arcigno, rigido e intellettuale con pazienti e amici


"Quando il genio muore, è il burocrate che diventa re. (…) I burocratici non falliscono mai. Però non scoprono mai niente. Dopo l’inventore viene l’inventario." M. Choisy, da un'intervista sull'analisi con Freud


Freud (nonostante non amasse essere fotografato con quel viso arcigno e severo in quelle pose rigide), era dotato di un incredibile senso dell’umorismo (tipicamente ebraico): sebbene la sua figura ispirasse fin da subito una forte autorità carismatica e reverenziale, chiunque ebbe a che fare con lui lo descrisse come una persona molto umana, calda, accogliente, tutt’altro che facile all’ira. Le porte di casa Freud (costituita dalla moglie Martha, la cognata Minne, gli altri 6 figli e un cane), erano sempre aperte ed ospitali per amici, allievi o semplici curiosi: difficile che capitassero periodi senza visitatori.


Tuttavia la forte idealizzazione attorno alla sua figura da parte di quella generazione di analisti futuri che si definirono “ortodossi freudiani”, ha contribuito a creare numerosi tabù, credenze e gravi deformazioni che per lungo tempo hanno impedito di far luce sulla “reale” persona di Freud e sulla sua tecnica. Infatti contrariamente dal pensiero comune, Freud coi suoi pazienti aveva un comportamento tutt’altro che ortodosso: i suoi modi sembravano più amichevoli che professionali, spesso era molto partecipe, spontaneo e attivo in seduta (poteva diventare anche esageratamente loquace in certi momenti), a volte invitava pazienti a bere il tè o a commentare assieme la collezione dei suoi reperti archeologici, li portava con sé in vacanza, li curava gratis o era disposto a fare deroghe di fronte a rovesci finanziari dei pazienti, gli prestava addirittura del denaro. Oppure, cosa ancora più curiosa, analizzava genitori e figli contemporaneamente, amici e colleghi... analizzò anche la propria stessa figlia Anna. In genere Freud agiva in modo molto differente a seconda di chi, di volta in volta, si trovava di fronte, soprattutto se si trattava di un paziente o di un allievo. Insomma, comportamenti ben lontani da quelli suggeriti nei suoi scritti tecnici: le raccomandazioni tecniche di Freud infatti erano per lo più di contenuto negativo, nel senso che indicavano dove un analista poteva sbagliare (soprattutto con il propagarsi a quel tempo di “psicoanalisti selvaggi” come ciarlatani e guaritori); furono le successive generazioni di analisti ad interpretarle in senso rigido e dogmatico come fisse procedure da adottare.


Di fatto sposando il detto “quod licet Iovi non licet bovi”, Freud si sentì libero di non attenersi alle regole da lui raccomandate in quanto fondatore della psicoanalisi, e quindi probabilmente confidando nel fatto che nessuno meglio di lui poteva sapere cosa fosse bene e cosa fosse male per la psicoanalisi e la pratica clinica. E da sperimentatore, Freud non solo non faceva i miracoli, ma a volte commetteva evidenti errori tecnici, riportando palesi insuccessi terapeutici (come il famoso caso di Dora, L’Uomo dei Lupi, J.Wortis, H. Frink..). Una cosa era certa però: dalle informazioni raccolte da ex allievi e allievi, si osserva come Freud fosse ben poco “freudiano”.


Freud analizzava in un modo molto libero, molto più libero di quanto facciamo oggi. Parlava più liberamente di quanto noi pareremmo coni nostri allievi. Era assolutamente disposto a trattarmi come un collega e se c’era un problema a cui io ero interessato esprimeva le sue opinioni. (…) il suo approccio era altamente individuale. Egli non lavorava con tutti nello stesso modo, in questo senso non era rigido. (…) Freud era tollerante, interessato, gentilissimo. Non ebbi mai l’impressione che mi spingesse in nessuna direzione particolare.

H. Hartmann (sulla sua analisi didattica con Freud)



4) Freud ha creato le proprie teorie da pochi pazienti (la psicoanalisi è nata quasi a tavolino)


"Un uomo come me non può vivere senza un hobby, senza una passione dominante, senza un tiranno, per dirla con Schiller, ed esso si è presentato sul mio cammino.e adesso non conosco moderazione nel servirlo. E’ la psicologia." S. Freud


Al culmine della propria attività lavorativa, subito dopo la Prima guerra mondiale, Freud scriveva di lavorare dalle 8 del mattino alle 8 di sera ricevendo anche 9-10 pazienti al giorno, ognuno per cinquanta minuti a seduta, solitamente per sei volte a settimana. Poi dal 1926, a causa delle precarie condizioni di salute, calò a 3 a 5 pazienti a settimana, fino ad arrivare a 2-3 durante gli ultimi anni di vita. Ma quasi fino all’ultimo continuò a ricevere qualche paziente (fino all’agosto del 1939, una volta in cui i dolori iniziarono a non essere più tollerabili). Tra l’altro, contrariamente dal pensiero comune, i pazienti di Freud provenivano dai più svariati e multiformi contesti socioculturali, ancor più diversi rispetto ai pazienti che nell’era globalizzata di oggi un terapeuta è solito accogliere nel proprio studio.


Inoltre la psicoanalisi di Freud non fu inventata solo per persone ricche, colte o intellettuali, anzi, fu sempre sua cura (sia nelle opere che in seduta) che il carattere della psicoanalisi rimanesse sempre chiaro, facilmente comprensibile, diretto. Inoltre in un congresso del 1918 Freud invocò l’apertura di cliniche psicoanalitiche per consentire ai meno abbienti di approfittare di questo tipo di trattamento (una clinica venne effettivamente aperta due anni dopo da Simmel e Eitingon), sottolineando quindi anche la dimensione sociale della psicanalisi. Per di più, oltre ai pazienti, prima che si fondassero veri e propri istituti di formazione psicoanalitica, la supervisione degli analisti locali e i loro casi clinici gravava completamente sulle spalle di Freud.


A giudicare quindi dal migliaio di pazienti che si stima egli prese in carico nella sua vita, l’immagine di Freud come terapeuta non vien certo meno a quella di scrittore (per cui vinse anche il prestigioso premio Goethe nel 1930, oltre ad avere vari apprezzamenti stilistici da molti scrittori tra cui lo stesso premio nobel T. Mann). Per Freud l’esperienza clinica e le costruzioni teoriche si fecondavano continuamente a vicenda: il lettino di fatto fu il suo ricco e immenso laboratorio di sperimentazione. Nello studio di Freud d’altronde il lettino e lo scrittoio erano molto vicini l’un l’altro, sia sul piano emotivo che su quello fisico.


Gli asserti della psicoanalisi sono basati su una quantità enorme di osservazioni ed esperienze, e solo chi avrà ripetuto su se stesso e su altri queste osservazioni sarà in grado di pervenire a un giudizio personale in merito. S. Freud, Compendio di psicoanalisi (1938)


Poi è risaputo che Freud non intendesse la psicoanalisi solo come un metodo terapeutico, ma come uno strumento prezioso d’indagine per la comprensione non solo dell’uomo ma di tutti i fenomeni scibili (il suo maggiore interesse fu sempre la ricerca, piuttosto che la spendibilità clinica delle proprie scoperte). Per tutta la vita Freud cercherà di salvaguardare l’indipendenza della psicoanalisi nei confronti dei medici non meno che dei filosofi, nonostante dal 1927 la Società Americana decise infatti, contro il parere esplicito di Freud, di proibire la pratica della psicoanalisi ai non medici (“lo psichiatra che si occupa di psicoanalisi è interessato principalmente alle necessità terapeutiche. Questo scopo non va disprezzato, ma non rappresenta la finalità precipua, e nemmeno quella essenziale della psicoanalisi. Lo scopo principale della psicoanalisi è contribuire alla scienza della psicologia e al mondo della letteratura e della vita in generale.”). Inoltre Freud, reduce di varie esperienze personali in qualità di sperimentatore in clinica, restò sempre critico verso i vari tentativi che iniziavano già a svilupparsi a favore delle “analisi brevi”, reputandole la manifestazione di un sintomo della perniciosa mania di guarire da parte di medici e di neoterapeuti che per questo motivo per lo più si avvicinavano alla psicoanalisi.


Vi ho detto che la psicoanalisi è nata come terapia, ma non è questa la ragione per cui ho inteso raccomandarla al vostro interesse, bensì per il suo contenuto di verità, per quanto essa ci insegna su ciò che all'uomo sta a cuore al di sopra di ogni altra cosa - la sua stessa essenza - e per le connessioni che mette in luce fra le più diverse attività umane. Come terapia, è una fra le tante, senza dubbio prima inter pares. Se fosse priva di valore terapeutico, non sarebbe stata scoperta sugli ammalati, nè avrebbe potuto perfezionarsi per oltre trent'anni.

S. Freud (1915-1916), Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1975



5) Freud non inventò nulla di nuovo e le sue teorie nacquero dalle proprie nevrosi


"E ci sia consentito trarre un sospiro di sollievo vedendo che a singoli uomini è dato ricavare senza una vera fatica dal vortice dei propri sentimenti le più profonde intuizioni, mentre a noialtri non resta che farci strada a tastoni, senza posa, in tormentosa incertezza, verso le medesime verità." S. Freud, Il disagio della civiltà (1929)


Anche questo è un vecchio leitmotiv che ogni tanto torna di moda. Freud non fu un plagiario: era un uomo di enorme cultura che riportò di volta in volta nei propri scritti la riconoscenza e i propri debiti nei confronti di tutti coloro che aveva incontrato durante la propria ricerca o nei testi che avidamente divorava. E quindi tra gli esempi più significativi compaiono: Nietzsche, Schopenhauer, von Hartmann, Herbart, Brentano, Bachofen, Fechner, Darwin; mentre nelle sue esperienze ebbero forte influenza Brucke, Meynert, in parte Janet, Charcot, Bernheim, e soprattutto a Breuer, Fliess e altri suoi preziosi allievi. E’ vero che molto di ciò che viene attribuito a Freud in realtà già ai tempi era sapere diffuso, ma esso era ancora frammentario, mai sistematizzato nè sviluppato in una maniera così originale, strutturata e organica come realizzò Freud (basti pensare che da allora - ad eccezione forse di C.G. Jung e, in parte, J. Piaget - non c’è più stata nessun’altra personalità nel mondo della psicologia ad essere riuscita nell’impresa di costruire una simile impalcatura altrettanto solida ed efficace per la descrizione dei processi psichici). Freud riconobbe esplicitamente che questi autori avevano colto tracce di verità, ma non per intero: si assumerà lui l’incarico di andare a fondo sul tema dell’inconscio.


Detto questo, il momento più proficuo delle proprie scoperte combaciò nel periodo (tra i 1894 al 1899) in cui egli svolse su di sè ciò che nella storia passerà sotto il nome di “autoanalisi” (anche se in realtà non interruppe mai questa pratica, dedicando ad essa un po’ di tempo tutti i giorni). Tralasciando calunnie e leggende eroiche attorno a tale “impresa”, di fatto Freud tentò d’immergersi nell’esplorazione del proprio inconscio e nell’analisi delle proprie nevrosi (soprattutto attraverso l’indagine dei propri sogni e usando come specchio l’amico di penna W. Fliess), sviluppando probabilmente quello che storici e antropologi hanno definito una vera e propria “malattia creativa”:


“Essa si presenta in varie situazioni: la troviamo tra gli sciamani, tra i mistici di diverse religioni, in certi filosofi e scrittori creativi. Una malattia creativa segue a un periodo dominato da un’idea e dalla ricerca di una certa verità. Si tratta di una condizione polimorfa che puo’ presentarsi in forma di depressione, di nevrosi, di sofferenze psicosomatiche, o anche di psicosi. Quali che siano i sintomi, essi vengono sentiti dal soggetto come penosi, se non tormentosi, con periodi alterni di sollievo e poi peggioramento. Nel corso della malattia il soggetto non perde mai il filo della sua preoccupazione dominante, che spesso è compatibile con una normale attività professionale e con la vita di famiglia. Ma anche se il soggetto mantiene le sue attività sociali, egli è quasi interamente assorbito da sè stesso; soffre di sensazioni di isolamento assoluto, anche quando ha un mentore che lo guida attraverso ordalie (come l’apprendista sciamano con il suo maestro). La conclusione è spesso rapida e segnata da una fase di buon umore. Il soggetto esce dalla sua ordalia trasformato permanentemente nella propria personalità e con la convinzione di aver scoperto una grande verità o un nuovo mondo spirituale.” (Ellenberger, 1970, p.516-517)


Questo periodo fu documentato e studiato molto approfonditamente da uno psicoanalista (Anzieu, 1975), che elencò ben 116 nozioni o concetti teorici secondo l’autore elaborati da Freud in questo periodo di autoanalisi. La pubblicazione de “L’interpretazione dei sogni” (1899) fu il frutto di questo viaggio interiore, ossia una sorta di autobiografia psichica in cui (con un sentimento ambivalente tra il rivelarsi e il proteggersi), Freud gettò le fondamenta alla sua nuova disciplina.


E’ importante sottolineare che Freud non considerava le proprie scoperte dapprincipio universalmente valide per l’intera umanità: egli le verificava prima coi pazienti e successivamente attraverso la letteratura psicoanalitica che svilupperà negli anni cercando di trovare somiglianze in mezzo al copioso “campione” analizzato. Ma passerà anni e anni a elaborare, rivedere, perfezionare e a volte a ribaltare le sue generalizzazioni (come per il celeberrimo caso della teoria della “seduzione infantile”). Freud assunse sempre le vesti del ricercatore che non si lascia troppo impacciare dal materiale clinico raccolto per potersi abbandonare a tutte le congetture e speculazioni che, di volta in volta, lo affascinano.


Più e più volte Freud insistette nei suoi scritti e con i suoi allievi che le “certezze” scoperte fossero sempre legate all’”oggi”. Poi tutt’altro discorso a parte (molto lungo e variegato) riguarda invece la validità dei concetti psicoanalitici da parte della scienza sperimentale: infatti, nonostante Freud avesse cercato di dimostrare empiricamente (attraverso la clinica) le proprie scoperte (considerando la psicoanalisi una disciplina scientifica a pieno diritto), la sua validità sul piano scientifico è tuttora controversa e ancora lontana - e forse giustamente - dall’essere confermata dalla ricerca più rigorosa. Motivo per cui tale paradosso ha indotto molti psicoanalisti e studiosi a considerare la psicoanalisi fuori il campo della scienza fisica, ma più affine alle scienze umanistiche o come una varietà dell’ermeneutica.


La psicoanalisi non è un sistema del tipo di quelli filosofici, che partono da alcuni concetti fondamentali rigorosamente definiti, tentano di comprendere in base a essi la totalità dell'universo, per poi, una volta compiuta tale operazione, non lasciare alcuno spazio per nuove scoperte e più adeguati approfondimenti. Al contrario essa si attiene ai dati di fatto del proprio campo di lavoro, tenta di risolvere i problemi immediati dell'osservazione, procede a tentoni avvalendosi dell'esperienza, è sempre incompiuta e disposta a dare una nuova sistemazione alle proprie teorie oppure a modificarle. Non meno che la fisica e la chimica, la psicoanalisi tollera che i suoi concetti supremi siano poco chiari e le sue premesse provvisorie, nell'attesa che una determinazione più precisa di questi concetti e di queste premesse emerga dal lavoro futuro.

S. Freud. Due Voci di enciclopedia. "Psicoanalisi" e "Teoria della libido". (1923)


“Freud Faces” photomontage, black and white by Josh Hoffs



L’idea che emerge dell’uomo Freud


Essere completamente onesti verso se stessi è un buon esercizio. (...) Il trattamento analitico si basa sulla sincerità. S. Freud


Freud cercò sempre di rendere difficile il lavoro dei suoi biografi, tentando di proteggersi dietro ad una vita riservata e ben poco appariscente (molti appunti e lettere furono distrutte da lui stesso), per timore che la sua reputazione o elementi della sua vita potessero essere usati dai suoi oppositori per screditare poi le sue teorie (cosa che purtroppo poi si avverò anche tra i più eminenti storici della psicoanalisi). Per cui non è un caso se nacquero così tante leggende con giudizi molto spesso contraddittori. Così la difficoltà di comprendere la complessità della personalità di Freud indusse molti a incasellarlo in etichette per poterlo rendere unidimensionale e intellegibile: “il tipico ebreo”, “il tipico borghese viennese”, “un uomo di lettere”, “l’ultimo grande romantico”, “un nevrotico depresso”, “un completo genio”. Allo stesso tempo il pubblico profano fece presto a costruirsi la caricatura di Freud come “l’Herr Professor” accigliato e barbuto che aveva trovato la mappa della mente legata al sesso, autorizzando quindi tutti alla completa disinibizione istintuale.


Ciò che si evince in realtà di Freud è che era un uomo combattivo, orgoglioso, stoico, indipendente, con un'enorme capacità di autocontrollo, esageratamente curioso, capace di forti passioni (sia nelle simpatie e che nelle antipatie), di cultura raffinata e poliedrica, sempre aperto al dubbio e all’interrogativo, con una padronanza perfetta del linguaggio, riluttante nel ruolo di debitore, stacanovista al massimo, riservato, con una straordinaria energia e vitalità, ossessivamente abitudinario, meticoloso, spiccatamente umoristico, poco attaccato al denaro (se non per il sostentamento della sua famiglia), con un forte senso del dovere, allergico ai convenevoli e ai formalismi, privo di qualsiasi affettazione, manierismo o teatralismo, tendenzialmente corretto e onesto, con una incredibile forza dell'Io.


Tuttavia Freud era pur sempre un uomo, con le ovvie influenze culturali e le sue idiosincrasie caratteriali, e quindi con inevitabili residui nevrotici, che non sorprendono, dato che nessuno per tautologia è in grado di “curarsi” con la sola autoanalisi (benchè dopo di essa Freud acquisì un’autonomia del pensiero che gli rimase per tutta la vita). Tra questi si possono annoverare: la paura della morte (superati i 40anni Freud iniziò nutrire la convinzione di morire prima a 51 poi a 61 anni, cercando quindi di evitare sempre questi numeri avvertiti come fonte d’ansia - “un misticismo tipicamente ebraico” come la definiva lui stesso -); i suoi palesi conflitti edipici con i dissidenti; conversioni psicosomatiche (emicranie, catarri nasali, svenimenti); episodi depressivi altalenanti, soprattutto durante il periodo dell’autoanalisi (a volte, con la preoccupazione di fallire nella sua impresa, sembrava quasi compiacersi di un profondo stato di solitudine che avvertiva ingiustificatamente); il rapporto strettissimo con la madre (ancora tutto da esplorare adeguatamente: è probabile che Freud si sia difeso per tutta la vita dal riconoscere l’imperfezione del legame con la madre). D’altronde, con occhio psicoanalitico, si puo’ guardare il suo attaccamento morboso ai sigari come la sopravvivenza di bisogni orali primitivi, e la collezione sfrenata di antichità come residui di altrettanti primitivi piaceri anali.


Inoltre non di rado la sua forte e netta autorità tendente all'ordine e alla disciplina ispirava forti sentimenti transferali nei colleghi che, sentendosi spesso indebitamente minacciati, facevano sfociare fecondi conflitti derivanti dalla diversità di vedute in grandi divisioni ideologiche. D’altronde non era difficile vedere Freud fare dei dissensi intellettuali e ideologici il terreno di battaglie emotive (in una commistione di ruoli oggi alquanto discutibile), diventando purtroppo poi cieco dinanzi ai validi contributi proposti al pensiero psicoanalitico. Freud considerava la psicoanalisi una sorta di movimento rivoluzionario dal punto di vista politico, culturale e scientifico (oltre che terapeutico), pertanto spesso pur di proteggere la sopravvivenza della propria “creatura” (e della sua posizione di “padre totemico”) poteva diventare un leader autoritario e diffidente verso le nette opposizioni, interpretando la creatività e l’originalità altrui come segni di minaccia e slealtà (basti pensare ad Adler, Jung, Rank, Ferenczi).


Insomma un uomo sicuramente eccezionale, ma di certo tutt’altro che perfetto: ad esempio agli albori della nascita della psicoanalisi Freud non mancò di violare la sacra regola del segreto professionale, spifferando qualche volta nelle sue lettere informazioni riservate e indiscrezioni di pazienti e allievi. Inoltre, come per il discorso sugli scritti tecnici, nonostante Freud abbia sempre stimato e rispettato il dubbio e il senso critico, a volte se ne dimenticava, agendo diversamente. Quindi se Freud aveva creato la psicoanalisi affinchè potesse creare un mondo migliore, sviluppando un nuovo modo critico e più oggettivo di vedere le cose per donare più autonomia e libertà, nei fatti egli era poi anche quello che a volte mal tollerava le posizioni dei dissidenti agli albori (che furono poi nel giusto nel criticare alcuni suoi errori), che definiva le regole per il procedimento analitico, e che si comportava ogni tanto in seduta davvero come un sostituto dei genitori (quasi inconsapevole del grado di suggestione e regressione che induceva inevitabilmente la sua forte personalità).


Tuttavia, uno degli aspetti più curiosi è che il più delle volte Freud era perfettamente cosciente di questi suoi aspetti problematici e dei suoi limiti come uomo e terapeuta, e non si faceva scrupoli ad ammetterli informalmente o per iscritto nelle lettere ad amici e allievi. Infatti, nonostante tutto, Freud cercò di fare della verità il cardine di tutta la sua esistenza, delle sue scoperte e della sua missione, tanto da venire poi esageratamente osannato come eroe per questo amor della verità da parte dei suoi seguaci o come rigido e intollerante dittatore dai suoi oppositori. Infatti il lascito forse più importante che Freud lasciò al mondo fu (come accadde poi anche prima per Marx e Nietzsche) la sua “tendenza demistificante”, ossia la ricerca sistematica della menzogna e dell’autoinganno al fine di scovare la verità sottostante.


Mi manca il coraggio di erigermi davanti ai miei consimili come un profeta, e mi inchino quando essi mi rimproverano di non sapere recare loro alcuna consolazione, perchè è questo che in sostanza tutti chiedono, i rivoluzionari più sfrenati non meno appassionatamente dei credenti più conformisti.

S.Freud, Il disagio della civiltà, 1929



Curiosità biografiche:


Freud fece uso di cocaina fino agli anni ‘90 quando non si conoscevano ancora i gravi effetti collaterali. Pubblicò a riguardo anche uno studio in cui elogiava le proprietà terapeutiche, che in seguito gli danneggiò la reputazione a Vienna. Tuttavia, un altro medico viennese di nome Koller, vinse il premio Nobel per aver scoperto gli effetti benefici della cocaina nelle operazioni oculistiche. Anni addietro Freud aveva fornito un saggio ad un amico oculista, il dr. Konigstein, in cui gli aveva suggerito che per le sue proprietà anestetizzanti poteva essere usato per le operazioni agli occhi; tuttavia nella preparazione della soluzione chimica il medico aveva dosato male le quantità e la faccenda si concluse lì.


Sembra che Freud fosse negato per la musica. A parte Mozart (apprezzava particolarmente il Don Giovanni) si dichiarava incapace di goderla: anche se era avvezzo all’operistica, era più ineressato al valore simbolico e analitico delle trame piuttosto che all’aspetto musicale in sè.


Nonostante fosse opinione comune che Freud vivesse una vita molto sobria, integerrima, senza apparentemente nessuna macchia (anche se esistono pettegolezzi, ancora però da dimostrare con le dovute prove, che egli potesse avere una relazione extraconiugale con la cognata Minna Bernays), egli possedeva un vizio inguaribile che lo accompagnò fino alla tomba: il sigaro (che cominciò a fumare all’età di 24 anni). Freud infatti fumava incessantemente: con gli amici, da solo davanti al suo scrittoio, passeggiando, in seduta (a volte anche per tenersi sveglio).


Freud aveva un cane di razza chow chow, Jofi (una femmina regalata dalla Bonaparte). Ad esso Freud era talmente legato da tenerlo anche in stanza d’analisi coi pazienti: il figlio Martin disse che quando Jofi sbadigliava e si alzava significava che l'ora era passata a che la seduta era terminata. Quando il cane morì nel ‘37, il vuoto fu tale da spingere Freud a prenderne un altro, sempre di razza chow chow (Lun), che lo accompagnò anche nella fuga dai nazisti.


Freud e la sua famiglia, che erano ebrei, sfuggirono per un soffio alle persecuzioni naziste: nel ‘38 (un anno prima della sua morte) riuscirono a scappare in gran segreto da Vienna grazie ad ardue negoziazioni da parte della principessa M. Bonaparte (sua allieva nonchè la sua più grande benefattrice) e di altri influenti seguaci (come Jones). Già nel ‘33 i libri di Freud furono bruciati a Berlino, e una volta in cui l’Austria divenne nazista, il patrimonio della società psicoanalitica viennese (oltre al conto in banca dei Freud), la biblioteca e i beni della casa editrice vennero completamente confiscati. Le 4 sorelle di Freud invece morirono tutte in campo di concentramento.


La routine di Freud a 50 anni era rigorosamente impostata e abitudinaria: si alzava alle 7, dalle 8 alle 12 vedeva pazienti, sempre alle 13 il pranzo con tutta la famiglia, una passeggiata digestiva, dalle 15 alle 20 altri pazienti, la cena, talvolta una partita a carte con la cognata o con gli amici (soprattutto coi tarocchi) o un’altra passeggiata con la moglie o con una delle figlie. Poi tutto il resto del tempo serale veniva dedicato alla lettura e alla scrittura, fino all’una del mattino, quando finalmente Freud si coricava a letto. La domenica mattina era solito andare sempre a trovare la madre, e il resto della giornata la passava a scrivere le lettere che non aveva avuto il tempo di scrivere durante la settimana.


Freud morì per eutanasia (morfina): il 23 settembre 1939 il suo medico personale, Max Schur, mantenne la promessa di sollevarlo dalla vita una volta che il dolore fosse diventato ingestibile e “senza senso”. Fu infatti il fumo dei tanto amati sigari a causargli un cancro maligno alla mascella procurandogli atroci dolori e numerose operazioni (32, oltre a diversi trattamenti con raggi X e radio) per oltre 15 anni della sua vita (durante i quali, anche se meno frequentemente, continuò comunque a fumare). In quegli anni Freud diventò quasi sordo da un orecchio (cambiando posizione quindi per ascoltare i pazienti sul lettino), e poteva mangiare e parlare solo con forti difficoltà. Tuttavia, senza mai autocommiserarsi, egli rifiutò sempre qualunque analgesico oppiaceo (mentre faceva un massiccio uso di aspirina), per potersi assicurare la propria mente lucida e vigile.


Freud possedeva un orologio e una pendola, che continuò a caricare fino al giorno della sua morte. L’ultimo libro che riuscì a leggere fu “La pelle di Zigrino” di H. de Balzàc



L’eredità freudiana oggi


"Ogni verità passa attraverso tre fasi: all’inizio è ridicolizzata, poi è violentemente contrastata, infine la si accetta come evidente." A. Schopenhauer


Ovviamente e per fortuna da allora la psicoanalisi continua ad essere enormemente arricchita, revisionata, rivista e integrata dalle recenti scoperte scientifiche e dalle nuove continue teorizzazioni (grazie anche all’allargamento del contesto clinico in cui oggi opera). Per cui è corretto definire il fermento vivace della psicoanalisi contemporanea come postfreudiana.


Tuttavia non è possibile valutare l'entità, l'importanza e la genialità del lavoro di Freud che nella storia della psicologia non ha precedenti: Freud ha aperto una pista nuova in un mondo sconosciuto, fu l’inventore di un nuovo modo di occuparsi e di esplorare l’inconscio (ossia la situazione analitica con l’associazione libera, l’analisi dei sogni, delle resistenze e della traslazione...): e, checchè se ne dica, la psicoanalisi rimane la creazione, propria, di Freud.


E chi oggi abbia ancora necessità di eliminare Freud e le sue teorie dalla psicoanalisi, rimane comunque inevitabilmente debitore di un’eredità che continua ad essere presente, nonostante tutto, negli studi di psicologi, psicoterapeuti e psichiatri, fino ad integrarsi inestricabilmente nell’esistenza dell’uomo stesso: ossia quell’atteggiamento di ricerca della verità attorno a se stessi (di cui gli autoinganni e l’ipocrisia ne sono i corrispettivi coscienti), secondo quell’antico immortale detto del “nosce te ipsum” (“conosci te stesso”).


Oggi infatti i contributi di Freud si sono talmente intrecciati nel tessuto della nostra cultura occidentale, nel lessico e nell’esperienza quotidiana che di fatto siamo tutti “freudiani”: la psicoanalisi oltre ad essere una disciplina professionale è diventata una forma di pensiero e ha cambiato il modo di percepire noi stessi e la nostra mente.


Diventa dunque un grave errore dipingere la psicoanalisi come un complesso di idee e di prospettiva sull’uomo meno attuali ai giorni nostri: ogni formulazione della psicoanalisi è un tentativo di comprendere e descrivere ogni aspetto dell’esperienza umana, nella sua dimensione reale e quotidiana, al fine di aiutare le persone nelle loro difficoltà di vita e nel mantenere un Sè equilibrato nonostante gli intrinseci e inevitabili conflitti interiori.


E' un fatto che la verità non puo' essere tollerante, non ammette compromessi nè limitazioni; che la ricerca considera come propri tutti i campi dell'attività umana e ha il dovere di diventare inesorabilmente critica se un altro potere vuole confiscarne alcuni per sè. La sua aspirazione è di raggiungere la concordanza con la realtà, ossia con ciò che esiste al di fuori e indipendentemente da noi, e che, come l'esperienza ci ha insegnato, è decisivo ai fini dell'appagamento o della vanificazione dei nostri desideri. Questa concordanza con il mondo esterno reale, da noi chiamata "verità", continua ad essere la meta del lavoro scientifico anche quando si prescinda dal suo valore pratico. Una visione del mondo eretta sulla scienza ha, tranne l'accento posto sul mondo esterno reale, tratti essenzialmente negativi, come quello di sottomettersi soltanto alla verità, nel rifiuto di ogni illusione. Chi fra di noi mortali è insoddisfatto di questa situazione, chi pretende qualcosa di più per trovare una momentanea consolazione, cerchi questo qualcosa dove pensa di poterlo trovare. Noi non ce ne adonteremo: non possiamo aiutarlo, ma nemmeno, per riguardo a lui, cambiare le nostre idee.

S.Freud. Introduzione alla psicoanalisi. Seconda serie di lezioni. 1932



Di seguito una bibliografia consigliata (da cui è tratto l’intero articolo) per approfondire il tema:


Albano L. (1987), Il divano di Freud. Il saggiatore, Milano, 2014.

Bettelheim B. (1982), Freud e l’anima dell’uomo. Feltrinelli, Milano, 1983

Clark R. (1980), Freud. Rizzoli, Milano, 1983

Ellenberger H. (1970), La scoperta dell’inconscio. Boringhieri, Torino, 1976

Fromm E. (1959), La missione di Sigmund Freud. Newton Compton, Roma, 1972

Gay P. (1988), Freud, una vita per i nostri tempi. Bompiani, Milano, 1988

Jones E. (1953). Vita e opere di Sigmund Freud. Il Saggiatore, 2014

Krüll MN., Padre e figlio. Vita familiare di Freud (1979), Boringhieri, Torino, 1982

Pohlen M. (2006). In analisi con Freud. Bollati Boringhieri, Torino, 2009

Roazen P. (1975), Freud e i suoi seguaci. Einaudi, Torino, 1998

Roazen P. (1995), Freud al lavoro. I pazienti raccontano. Massaro Ed., Bolsena (VT), 1999

Robinson P. (1994), Freud e i suoi critici. Astrolabio, Roma, 1995

Roudinesco (2015). Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro. Einaudi, Torino, 2015

Schur M. (1972), Il caso di Freud: biografia scritta dal suo medico. Boringhieri, Torino, 1976.

Shamdasani S. (2011). Dossier Freud: l’invenzione della leggenda psicoanalitica. Boringhieri, Torino, 2015

Wollheim R (1971), Guida a Freud. Rizzoli, Milano, 1977

Veggetti Finzi S. (1995), Freud e la nascita della psicoanalisi, Mondadori, Milano, 1995


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