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Il ruolo dell’inconscio nell’interazione terapeuta-paziente: la preziosa ricerca di Langs (‘85)

(Relazione didattica tenuta presso l'Istituto di Psicoanalisi Neofreudiana a Bologna il 27/01/19)

Follia e cura (o cura attraverso la follia), di R. Langs (1985), B.B. Testo fondamentale e controcorrente per gli anni '80, che cerca di ridare all'inconscio il posto privilegiato sia all'interno della pratica clinica (fornendo quindi significato anche alla tecnica analitica), che nell'orizzonte teorico più variopinto dei vari orientamenti psicoterapici che si sono diffusi a macchia d'olio negli anni.

Il libro - che ogni addetto del settore dovrebbe prendere in considerazione - spiega e raccoglie il materiale clinico proveniente da un esperimento svolto dall'autore: si tratta infatti di un resoconto di una ricerca (non scientifica) sulla storia delle psicoterapie di un gruppo di ex pazienti (non suoi), al fine di esplorare più a fondo il tipo di esperienza psicoterapica avuta (attraverso colloqui della durata di 3h ciascuno con 20 pazienti, per un totale di 73 terapeuti diversi).


Ed ecco in breve cosa ne emerse:

  • Nonostante le più disparate infrazioni e violazioni del setting (anche molto gravi come relazioni sessuali tra paziente e terapeuta) solamente 1 paziente su 20 espresse un’aperta critica negativa nei confronti della propria esperienza psicoterapica; tutti gli altri manifestarono a livello conscio generale soddisfazione e gratitudine (affermando di sentirsi sinceramente meglio e riportando un discreto sollievo dai sintomi iniziali), senza mai descrivere i comportamenti dei propri terapeuti come irresponsabili e nocivi.


Dunque che cosa aveva fornito sollievo a questi pazienti?

Langs (come scrisse abbondantemente molto tempo prima anche Freud, che non a caso cercò un nuovo strumento psicoterapico rispetto a tutti gli altri), lo dice chiaramente:


E' la fede illusoria nella concreta efficacia del trattamento (placebo o suggestione) ad aver “curato” questi pazienti.

L’intervento del terapeuta (qualunque esso sia – come nella posizione ermeneutica -) funge da “talismano” a cui il paziente si aggrappa come difesa illusoria dinanzi alla propria follia. E quanto più il paziente sente la precarietà di tale falsa comprensione, tanto più inconsciamente aumenta la tendenza a fare del terapeuta un idolo, e di queste “illusioni” verità in maniera magica e primitiva (benchè certamente, fonte di una precaria fonte di sollievo). [per approfondimenti vedi qui]

  • Tuttavia, a seguito di un’analisi approfondita (tramite l’analisi dei sogni e dei “derivati” spostati espressi durante le libere associazioni), Langs scoprì invece che l’inconscio aveva avuto l’esatta percezione di quello che era successo, fornendo un quadro molto diverso da quello iniziale. Se da una parte questi interventi procuravano una certa quota d’immediato sollievo, dall’altra, a livello inconscio generavano immagini spaventose del terapeuta, un senso di sfiducia e una sensazione di abbandono, inutilità o pericolo.


Le libere associazioni del paziente rappresentavano quindi comunicazioni ”in codice” riferite alle percezioni disturbanti sugli interventi del terapeuta, che cercava di tenere lontano dalla propria consapevolezza: ma come?


1) L’inconscio registra percezioni minacciose (disturbanti) provenienti dagli interventi del terapeuta: un segnale d’angoscia che passa inosservato alla coscienza suscita difese contro tali stimoli; 2) lo stimolo angosciante («l’immagine cruda») viene sottoposta a mascheramento tramite spostamento su una situazione analoga e quindi trasformata in un’altra immagine, meno angosciante; 3) questi derivati inconsci (che come insegna Freud premono sempre per «venire a galla»), vengono comunicati dal paziente parlando di temi meno terrificanti ma analoghi: episodi, ricordi, fantasie, sogni, che riproducono in maniera indiretta la percezione degli stimoli percepiti inconsciamente.


Considerazioni

In tutti queste “forme di cura folli”, il solo sollievo e non la comprensione (l’insight) sembrava essere l’obiettivo della terapia: a livello inc. il paziente provava sia sollievo che disperazione nel verificare che anche il terapeuta a sua volta non solo non era riuscito a far fronte ai propri aspetti patologici (”confronto a sfavore del terapeuta”) ma che spesso era addirittura più terrorizzato di loro della propria follia.


I terapeuti si sentivano minacciati dalle varie forme di follia del paziente, sicchè facevano di tutto per minimizzarne o negarne l’esistenza stessa: alla base sembrava esserci l’incapacità da parte del terapeuta di tollerare le proprie frustrazioni e soprattutto le prese di coscienza che provocavano angoscia, non riuscendo di conseguenza a contenere (e quindi ad esplorare adeguatamente) la follia del paziente.


Nessuno dei terapeuti di questo studio è mai andato oltre ad una “terapia orientata alla realtà”, vale a dire un approccio focalizzato esclusivamente sui contenuti manifesti e sugli aspetti concreti della realtà quotidiana. Tutti sembravano avere trascurato totalmente la dimensione inconscia dei pazienti. Clichè, interventi superficiali, luoghi comuni, elucubrazioni astratte e intellettuali su “problemi emotivi” o intorno a “problemi relazionali” finivano per evitare la presa di coscienza dei temi nodali dei conflitti più profondi, impedendo al paziente di padroneggiare la propria follia. Quasi tutti gli interventi dei terapeuti in questione suggerivano nulla o poco più di quanto il paziente non avrebbe potuto capire da solo o parlandone con un amico particolarmente sensibile e acuto.


Da questa rassegna (e non solo) se ne deduce che la strada verso l’insight e la ricerca della verità sugli intimi conflitti umani vanno contro l’istintiva tendenza difensiva della cura attraverso la follia per l’imminente sollievo dei sintomi e l’evitamento della presa di coscienza di stati penosi. Ecco perchè una psicoterapia seria e ben fatta, richiedendo inevitabilmente fatica, necessita di forti motivazioni da ambo le parti.

Ma dunque, cosa “cura” davvero in psicoterapia? (per approfondimenti, vedi qui)


Conclusioni

L’errore più comune (e Langs lo ritrova anche nella tecnica di Freud come nel caso di Dora) è la sottovalutazione (quando non è totale noncuranza) dell’influenza dell’interazione terapeuta-paziente, soprattutto nella sua dimensione inconscia: soprattutto quello di non accorgersi che ad essere i responsabili delle risposte del paziente non sono solo i nuclei patologici (e transferali) del paziente, ma anche gli stimoli “reali” degli interventi dei terapeuti nel qui e ora del setting. Una terapia che ponga come esclusiva priorità il passato del paziente (o ancor peggio il solo contenuto manifesto) rischia di subire gli influssi suggestivi dell’interazione presente con il terapeuta: negare o evitare di soffermarsi sull’influenza inevitabile dell’analista non farà altro che permettere comunque al transfert e ai derivati dell’inconscio di esercitare i loro effetti in maniera implicita. (per approfondimenti, vedi qui)


L’inconscio del paziente infatti non solo registra tutto, ma è in grado di percepire in maniera corretta le infrazioni del terapeuta come espressioni di bisogni, paure e desideri di natura patologica da parte dello stesso terapeuta, fornendo indirettamente la via su come correggerli

(vd Searles [1975] sulle capacità inconsce del paziente di individuare i difetti del terapeuta e di offrire indicazioni su come riparare).

La maggior parte delle psicoterapie odierne si basano sui medesimi meccanismi d’azione delle forme di cura praticati nei secoli passati da sciamani, esorcisti, guaritori, taumaturghi, mesmeristi, ipnotisti: metodi di cura illusori (“sistemi di bugie-barriera”) che vengono messi in atto più o meno inconsciamente nella relazione terapeutica.


E’ la noncuranza della dimensione inconscia (soprattutto dell’interazione terapeutica “reale”) a portare i propri effetti sulla terapia, credendo di potersi esimere dalla relazione (come credevano gli ortodossi), o, ancora peggio (nell’ignoranza de psicoterapie odierne), che le manipolazioni della relazione (tramite compiti - come succede con la CBT, vedi qui -, gratificazioni, illusioni e ogni sorta di deviazione) possano servire al “benessere” del paziente piuttosto che al soddisfacimento dei conflitti psicopatologici del terapeuta.


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