Considerato dagli psichiatri di tutto il mondo il testo imprescindibile di riferimento, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual), pubblicato dalla American Psychiatric Association e tradotto in decine di lingue, è la fonte primaria che definisce il limite tra ciò che è normale e ciò che è patologico in relazione alla psiche. Passato attraverso quattro edizioni, il manuale è giunto ora alla quinta stesura, il DSM-5, ma questa volta la pubblicazione ha scatenato feroci e allarmanti polemiche. A capo dei critici più agguerriti si trova Allen Frances, l’autore di questo libro, scienziato autorevole e psichiatra tra i più apprezzati, che sa bene di cosa parla, dal momento che proprio lui aveva diretto la redazione del precedente DSM-IV. Secondo la sua analisi, precisa e convincente, la nuova edizione del manuale diagnostico rischia di fare più male che bene. L’impostazione del volume allarga infatti a tal punto lo spettro delle patologie psichiche da lasciare ben poco spazio alla «normalità», che quasi scompare. Siamo tutti malati: un regalo alle industrie degli psicofarmaci e una resa di fronte alla crescente medicalizzazione della società, divenuta sempre meno capace di gestire serenamente fenomeni comuni, che sono sempre esistiti, come il lutto, l’invecchiamento o la naturale vivacità dei giovani. Si moltiplicano invece le diagnosi di patologie per ogni comportamento, perdendo in questo modo la visione pluralista dell’universo psichico e forse condannando in futuro milioni di persone a cure non necessarie.
«Non medicalizziamo le differenze umane – ammonisce Allen Frances – celebriamole».