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Dott. Stefano Andreoli

Silenzio e solitudine: la "Pustinia" in cui dimora l'inconscio.


R. Magritte, Il poeta ricompensato (1953)

Che cos’è il silenzio? E’ una domanda che ci si pone oramai quando, nella disperata confusione del mondo affollato di chiasso e distrazioni, per sbaglio ci si ritrova soli in mezzo ad un apparente stato di vuoto, con la sensazione di essere lontani da tutto e tutti. Magari capita di avvertirlo mentre stiamo aspettando qualcuno, alla fermata dell’autobus, poco prima di addormentarsi sotto le coperte, o semplicemente quando arriviamo a casa e, chiusa la porta alle spalle, finiamo nella nostra stanza vuota. Allora si viene colti di sorpresa, ed è proprio in questi momenti di “vuoto e solitudine” che una strana e amara sensazione improvvisamente ci piomba addosso, quasi come volesse sorprenderci in un momento di debolezza e vulnerabilità. Bastano pochi minuti in compagnia del silenzio affinchè diventi talmente fastidioso da spingerci ad allontanarlo con una delle tante distrazioni che la casa ha da offrici, pur di non guardare in faccia questo nuovo ospite tanto inatteso quanto molesto, capace di possedere una voce talmente sonora e violenta da far terribilmente paura.


L’infelicità deriva da una sola cosa, che è quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza… Eppure, togliete loro la distrazione e li vedrete morire di noia; essi sentono allora il loro niente senza conoscerloB. Pascal, Pensieri.


Eppure la solitudine “è il primo passo, per quanto doloroso, verso la salvezza. E’ la caduta degli idoli, il crepuscolo degli dei. A saperlo portare, guardare, conoscere, non più attaccati a se stessi, il vuoto che si sente non è altro che la vanità dell’io, la morte che si approssima, il nulla che ci attende” (G. L. Ferretti, Reduce). A dispetto di quanti vi vedono soltanto derive nichiliste, “percepire il presente come vuoto è un grande atto spirituale: fermarsi, zittirsi, oscurare l’immaginazione che sempre lavora in noi, imparare a stare fermi, respirare profondamente” (ibidem) dischiude ad una sorta di rimpatrio dentro di sé, di ritorno, di risucchio verso l’interno e verso le proprie radici. Educarsi ad accogliere senza fughe né resistenze l’irrompere di un evento simile, “sentire il vuoto del presente e noi che sprofondiamo in esso liberandoci da noi stessi” (ibidem), conduce alla consapevolezza che “non dobbiamo più andare da nessuna parte, siamo arrivati, siamo a casa” (ibidem). E’ l’esperienza del precipitare sulla soglia di un varco, uno squarcio, una fenditura interiore, che viene a prendere per mano chi la vive introducendolo in quella solitudine da cui è possibile ri-contattare la parte più autentica e sepolta di sé: “La solitudine mi conduceva in quel silenzio che faceva parlare il fondo. Si trattava di un nascondimento dal fuori per rientrare dentro, in ascolto di una voce intima, accettando di stare lì dentro, non fuori” (A. Lumini, Voce del silenzio e Pustinia). Mai come oggi la solitudine è diventata un’esigenza profonda e irrinunciabile, perché “se l’anima perde connessione con la sua luce interiore e si rivolge solo verso l’esterno, si ammala. L’anima non può identificarsi solo con l’esterno, ha bisogno di rimanere radicata nell’interno. Si sentirà sostenuta dal suo fondo anche quando dovrà restare nel buio” (ibidem). Solo da questo fondo si impara veramente ad ob-audire, a rimanere nell’ascolto umile del reale, solo da lì è possibile apprendere il magistero del silenzio che conduce al discernimento, per arrivare a vedere la verità di sé e delle cose.


“Scendere nel proprio intimo e non incontrare per delle ore nessuno: ecco cosa bisogna fare. Essere soli come il bambino quando i grandi sono in faccende e non si occupano di luiR. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta.


Forse mai come oggi l’esperienza del rientro è una delle più urgenti e fruttuose: “Da ogni parte gli uomini si agitano e sono impazienti. Di fronte a questa generale urgenza gli attivisti predicano azioni energiche. Pensiamo sia ancora più pressante la necessità di sedersi, insieme se possibile, a lungo in silenzio. Se il mondo deve essere rinnovato dall’effusione dello Spirito, la sola cosa necessaria è fare silenzio e ascoltarsi” (J. P. Schnetzler, Meditazione e preghiera nel buddismo e nel cristianesimo). Esistenzialmente, per un ritorno al fare che scaturisca dall’essere, è necessario impostare scelte “in modo che non si lasci spazio all’attività frenetica, alla moda del momento; a vantaggio di una ricerca deliberata, come se si trattasse dell’ossigeno per respirare, di spazi di solitudine, di silenzio, di anonimato deliberato. La vita delle persone è come quella del seme: per salire verso l’alto e dare frutto, deve sprofondare nella terra” (Fr. C. Serna Gonzales).


E’ la scoperta della “Pustinia”, del luogo segreto e nascosto che ognuno si porta dentro: “Pustinia - dal russo, deserto - designa un luogo tranquillo e solitario in cui si desidera entrare per trovare il Dio che abita in noi.” (C. H. Doherty, Pustinia: le comunità del deserto oggi). Il principio di orientamento che ci dona il deserto è un linguaggio nuovo, quasi artistico, a chi lo fa scaturire da dentro: “In me c’è un silenzio sempre più profondo. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d’espressione deve maturare nel silenzio” (E. Hillesum, Diario). E’ questa “esperienza di ascolto interiore che predispone l’ascolto degli uomini” (A. Lumini, Voce del silenzio e Pustinia) a far sì che “la parte più essenziale e profonda di me ascolti la parte più essenziale e profonda dell’altro” (E. Hillesum, Diario). In fondo anche i tempi attuali non sono meno difficili: sappiamo che una complessità sempre crescente, una precarietà diffusa, il tramonto di tradizioni, istituzioni e ideologie, una marcata mancanza di riferimenti, hanno generato una crisi globale a cui non sappiamo ancora cosa rispondere, né quale “nuovo” progettare. Ecco allora che l’esperienza del silenzio ci obbliga a ripiegarci in noi stessi e a gettare gli occhi in fondo a quell’immenso abisso che ci abita e che è in grado di spalancare quelle porte tenute accuratamente chiuse, guardiane di chissà quali segreti. E in quel baratro buio che oggi chiamiamo inconscio, lentamente è possibile sentire un contatto diretto e intimo con una nuova dimensione del nostro essere, forse l’anfratto più autentico e profondo di noi stessi, depositario di verità totalmente nude, crude, vitali:e: “Eppure io credo che se ci fosse un po' di silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire" (F. Fellini, La voce della luna.).


"Dov'è l'amico che il mio cuore ansioso ricerca ovunque senza avere mai riposo... Finito il dì ancor non l'ho trovato e resto sconsolato... La Sua presenza è indubbia ed io la sento in ogni fiore e in ogni spiga al vento... L'aria che io respiro e dà vigore del Suo Amore è piena. Nel vento dell'estate la Sua voce intendo" Ingmar Bergman, Il posto delle fragole, 1957

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