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Dott. Stefano Andreoli

Viaggio intorno alla perversione: sessualità polimorfa, disturbi del carattere, perversità, erotismo

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"Finchè non comprenderemo veramente la sessualità umana, anzichè darla per scontata, non comprenderemo la perversione." R. Stoller, 1975 (p.14-15)

Egon Schiele, "Femme au genou plié"

Nella letteratura psicoanalitica "perversione" è diventato negli anni un termine ombrello capace di racchiudere diversi significati: gli aspetti perversi polimorfi del bambino conservati successivamente nell'adulto, organizzazioni caratteriali strutturalmente definite associate a perversità, tendenze e attitudini caratteriali riscontrabili in altre forme psicopatologiche, una modalità esistenziale intrinseca nella natura umana per far fronte alle esigenze della realtà, e infine per designare le perversioni sessuali vere e proprie (parafilie o deviazioni sessuali) come forma strutturata a sè stante dal punto di vista fenomenologico.


Par ragioni di spazio, in questo elaborato non verrà affrontato anche il problema culturale sulle perversioni, dando per assodato che nessuna perversione può essere studiata isolatamente, ossia al di fuori delle intricate relazioni sociali del nucleo famigliare e soprattutto senza uno specifico contesto culturale di riferimento, che di regola stabilisce sempre cosa viene etichettato come perversione sessuale e cosa invece viene giudicato come "normale" (Morgenthaler, 1976).


Tuttavia ciò non toglie che, grazie al ricco microscopio della clinica, la psicoanalisi abbia saputo rinvenire psicodinamiche e processi mentali comuni ad ogni forma di perversione sessuale, che saranno quindi il tema principale dell'articolo. Già un precursore come Krafft-Ebing aveva sottolineato infatti come non fosse tanto l'atto di per sè a definire una perversione, quanto la motivazione specifica che, per un certo tipo di personalità, portava il compimento dell'atto perverso.


Le perversioni hanno una loro specifica struttura psichica, comprendente per un verso elementi nevrotici o psicotici, ma per un altro verso compatibile con la normale esistenza. (M.Khan, 1979, p.140)


Sessualità perversa e polimorfa


Quando Freud (1905) affronta il tema già abbondantemente noto delle perversioni (Psichopathia sexualis, di Krafft-Ebing, 1893; Studies in the Psychology of Sex, di H.Ellis, 1897), lo inserisce in maniera originale all'interno della sua teoria dello sviluppo libidico dell'individuo in cui concepisce l'esistenza di una "sessualità perversa e polimorfa" già a partire nel bambino. Ossia il fatto che il bambino, spinto da pulsioni parziali (orali, anali, uretrali, falliche...), cerchi, attraverso corrispettive zone erogene (le varie parti del corpo come la pelle, la bocca, gli occhi, l'ano, il fallo...), gratificazioni sessuali (sensuali, erotiche, libidiche che dir si voglia) con il primo oggetto di relazione (ovviamente la madre).


Dato che un assioma psicoanalitico concerne il fatto che nulla dello sviluppo infantile del bambino viene perduto nell'adulto (niente del passato scompare nel presente), secondo Freud tutta la sessualità umana possiede inevitabilmente i medesimi aspetti perversi polimorfi che hanno dominato la scena dello sviluppo psicosessuale infantile. Ciò ovviamente non equivale a dire che la perversione dell'adulto rappresenti la persistenza (senza modificazioni di significato e di dinamiche) del medesimo comportamento del bambino durante il suo sviluppo psicosessuale, ma che questa comunque si avvale delle medesime forze primitive e degli stessi elementi che costituivano la sessualità infantile (fissazioni a pulsioni parziali).


Dunque, come sempre quando si affronta la questione della psicopatologia, è necessario far riferimento allo studio dei processi sottostanti ai fenomeni osservati, facendo tesoro dell'insegnamento di Freud secondo cui ogni fenomeno, al pari del sintomo, è sovradeterminato, ossia è frutto di un intricato complesso di dinamiche che, assieme a fattori biologici-costituzionali e ambientali-culturali, ne hanno portato alla manifestazione finale.


Freud ci disse, come nessuno aveva fatto prima di lui, che i genitori hanno la massima influenza possibile sullo sviluppo dei loro figli, che in risposta al comportamento dei genitori i figli si creano una struttura psichica, che la vita sessuale adulta può essere ricondotta a effetti che risalgono all'infanzia e che il desiderio e la gratificazione sessuale hanno origine proprio nell'infanzia, molto tempo prima del loro emergere manifesto nella pubertà. (R. Stoller, 1975, p.34)


Quando allora si è in presenza di quel processo patologico a cui comunemente si dà il nome di perversione sessuale?

Perversioni sessuali


Consultando come di consueto il Laplanche & Pontalis (1967), si legge che la perversione sessuale corrisponde a:


Deviazione rispetto all'atto "sessuale normale", definito come coito volto a ottenere l'orgasmo mediante penetrazione genitale, con una persona del sesso opposto:

Si dice che vi è perversione: quando l'orgasmo è ottenuto con altri oggetti sessuali (omosessualità, pedofilia, contatti con gli animali, ecc.) o con altre zone corporee (coito anale, per esempio); quando l'orgasmo è subordinato in modo imperioso a certe condizioni estrinseche (feticismo, travestitismo, voyeurismo e esibizionismo, sadomasochismo), che possono anche provocare da sole il piacere sessuale..

Più in generale si designa come perversione l'insieme del comportamento psicosessuale che si accompagna a tali atipie nell'ottenimento del piacere sessuale. (p.378)


Escludendo l'omosessualità come di natura esclusivamente perversa (oggigiorno considerata una variante sessuale fondamentalmente a base biologica, anche se assolutamente non esente, come ogni altro aspetto umano, da psicodinamiche e influenze ambientali che richiederebbero una lunga trattazione a sè stante), ciò che caratterizza il carattere patologico della perversione sessuale è la presenza di rigidità, fissità, esclusività, obbligatorietà di certi comportamenti ripetitivi e coatti ai fini del soddisfacimento sessuale. In altri termini, il perverso può utilizzare solo modalità ben circoscritte e particolari (di solito una o due) per il raggiungimento dell'orgasmo. Tradizionalmente le perversioni vengono distinte per la scelta oggettuale differente (incesto, pedofilia, necrofilia, gerontofilia, zoofilia...) e per anomalia alla meta (voyeurismo, esibizionismo, sadismo, masochismo, feticismo, travestitismo...), e quasi sempre tali modalità di ricerca del piacere non producono conflitti o sofferenza psichica nell'individuo (sono egosintonici), prestandosi quindi di rado o solo per vie collaterali alla richiesta d'aiuto terapeutico. Esistono tuttavia aspetti comuni che costellano universalmente il fenomeno delle perversioni sessuali.


Solitamente il Sè del pervertito è spaccato in due (scissione dell'Io verticale): da una parte egli percepisce normalmente il mondo reale, dall'altra ne rinnega un aspetto specifico (diniego), quello relativo alla sessualità, vivendo in un mondo irreale che purtuttavia perdura affianco a quello reale. Già Freud (1927) aveva notato come fosse tipico del pervertito sviluppare una terza soluzione nell'affrontare la realtà (tra il rifiuto totale dello psicotico e l'accettazione luttuosa del nevrotico), attraverso una sorta di pseudoaccettazione distorta della realtà in cui viene creato "ingegnosamente" una sorta di "artificio" (il feticcio). Se nel nevrotico la fantasia perversa viene solo immaginata, rimossa o trasformata (sublimata) e nello psicotico le fantasie si confondono con la realtà senza capacità di discriminazione, nel pervertito vengono messe in atto concretamente (essendo carente la capacità di simbolizzazione) attraverso "l'invenzione di un trucco" per sfuggire all'impatto doloroso con la realtà.


In ogni forma di perversione si riscontra una libidinizzazione dell'aggressività (e quindi rispettivamente un'eccessiva aggressivizzazione delle funzioni libidiche), tanto da venire etichettata come "la forma erotica dell'odio" (Stoller, 1975) o "la sessualizzazione del piacere distruttivo" (De Masi, 1999). L'atto perverso si propone infatti sempre di nuocere e disumanizzare in un qualche modo l'oggetto sessuale, che viene visto non come persona reale e totale ma solo come singola parte anatomica o come un oggetto adibito a specifiche funzioni e ruoli, privo d'ogni autonomia e volizione (un "oggetto smontato" lo definisce Meltzer, 1973).

L'oggetto, qualunque esso sia come bersaglio della pratica perversa (vivente o inanimato), diventa sempre un feticcio "inventato, manipolato, usato e abusato, saccheggiato e scartato, coccolato e idealizzato" (Khan, 1979, p.30), creato maniacalmente come rassicurazione contro l'angoscia nella relazione con l'altro.


De Masi (1999) sottolinea infatti la componente pervasiva del sadomasochismo come modalità relazionale attraverso un continuo scambio di ruoli in cui attivo e passivo (dominante-dominato) rispecchiano due lati della medesima medaglia: nella perversione il desiderio viene soppiantato dal bisogno narcisistico del possesso dell'oggetto sessuale che dev'essere dominato, sottomesso, prevaricato e degradato (la persona viene trasformata in una cosa) affinchè il perverso possa goderne e trarne piacere. Anche se sembra che due persone siano legate da una relazione intensa, in realtà si tratta sempre dell'invenzione di una sola persona che, con la complicità dell'altro, cerca di realizzare un controllo sull'altro (in modo rigorosamente asimmetrico). Nel perverso la prerogativa per poter godere del piacere sessuale corrisponde alla necessità di non sentire nessun legame emotivo per l'altro (scissione tra sesso e amore): il piacere è solo in funzione del senso di potere e del trionfo narcisistico sentito e visto concretamente sull'altro (il voyeurismo è una componente onnipresente) .


Anche se l'ambito delle azioni nella perversione si limita alla sfera della sessualità, l'eccitamento non deriva da una forma primitiva di sessualità, ma piuttosto dall'idea del potere, senza la quale non verrebbe mai mobilitata alcuna sessualità perversa. (De Masi, p.129)


Il vero fatto curioso è che nonostante l'atto perverso sia palesemente sessuale, la sessualità del pervertito non ha niente a che fare col desiderio erotico (c'è poca relazione tra pulsione sessuale e oggetto), in quanto essa viene semplicemente usata a scopo difensivo, essendo di fatto l'invenzione ben architettata di una persona sola che inscena concretamente una fantasia (messa in atto) attraverso pratiche ossessivamente ritualizzate per affrontare una pressante angoscia interiore (in maniera quindi controfobica). L'oggetto serve solo per il compito e il ruolo assegnato dall'immaginazione: una persona vissuta realmente con esigenze, desideri e bisogni costituirebbe un limite all'onnipotenza alla fantasia del perverso, annullandone l'eccitamento. Di fatto il pervertito deve sperimentare un controllo onnipotente sull'oggetto, evitando a tutti i costi l'intimità affettiva e sessuale della relazione con l'altro per poter provare piacere (attraverso quindi un compromesso difensivo).


C'è chi fa l'amore per desiderio e c'è chi lo fa con intenzione. questi ultimi sono i pervertiti. Infatti l'intenzione, per definizione, implica l'esercizio della volontà e del potere per raggiungere i suoi fini, mentre il desiderio richiede mutualità e reciprocità per essere appagato. (M.Khan, 19798, p.229)


Tuttavia, proprio perchè il perverso è in parte consapevole che il proprio atto è soltanto il frutto di una costruzione fantastica, egli non può mai dimostrare a se stesso di aver trionfato veramente, trovandosi così sempre costretto a ripetere l'atto indefinitamente, avendone prova solo provvisoriamente. Non a caso Meltzer (1973) paragona le perversioni alle dipendenze delle tossicomanie, vedendo analogie rispetto alla ricerca disperata della sensazione d'ebbrezza o d'estasi, e alla necessità sempre crescente di innalzare la soglia di piacere (superando quindi l'intensità di rischio della pratica) a causa dell'assuefazione graduale ad ogni atto (escalation della perversione).

Allo stesso modo, la ricerca spasmodica e sfrenata del piacere diventa un tentativo quantitativo (d'intensità) per colmare il vuoto della vera esperienza intima sessuale (qualitativa): il desiderio cede il passo alla ricerca dell'eccitazione.


Il senso d'insaziabilità deriva dal fatto che, per il pervertito, ogni avventura costituisce un fallimento. (Khan, 1979, p.27)


Un altro aspetto interessante è la necessità da parte del pervertito di sperimentare la sensazione di commettere peccato, di compiere qualche azione trasgressiva per poter provare un senso del piacere intimamente legato al duplice significato di violazione e di sovvertimento. Tuttavia, nonostante lo stesso pervertito percepisca in parte che sta facendo qualcosa di "cattivo", rischioso, vergognoso e di moralmente riprovevole, spesso si sente vittima di una necessità, una pressione a cui sente il bisogno impellente di sottomettersi.



Componenti perverse del carattere e disturbi di personalità


Le Marquis de Sade

Come fanno notare Kernberg (1975, 1984, 1992) e Bergeret (1996), sebbene aspetti perversi siano trasversali a tutte le organizzazioni di personalità, è possibile osservarne la presenza in maniera più macroscopica all'interno del vasto ventaglio delle organizzazioni marginali di personalità, in particolare:


- nel tipico caos sessuale identitario e oggettuale dei livelli borderline è facile incontrare condotte perverse senza strutturarsi in vere e proprie perversioni sessuali organizzate: dopo un'intensa frustrazione o in certi momenti di crisi l'individuo border può compiere agiti perversi come forma di compensazione a ingiustizie, traumi, ferite narcisistiche o momenti emotivi particolari (vuoto o stati depressivi). In tal caso l'atto perverso è da intendere come difesa (sessualizzata) transitoria per fronteggiare l'angoscia: il piacere della perversione serve per cancellare la percezione del dolore. Ma l'atto perverso è episodico, agito d'impulso, spesso in contesti casuali, promiscui e variabili, ossia ben lontani da essere atti ritualizzati e ben orchestrati delle tipiche perversioni sessualmente strutturate.


- come ha suggerito la Kaplan (1991), se è pur vero che la maggior parte delle perversioni sessuali appartengono al genere maschile, una serie di altre forme psicopatologiche (anoressia nervosa, cleptomania, piccole mutilazioni, masochismo/sottomissione estrema) rispecchiano forme perverse nel genere femminile che possono simboleggiare espressioni di odio e di rivalsa contro imposizioni di adattamento agli stereotipi di genere definiti e caricaturati dall'ambiente culturale dominante (e quindi in primis dall'ambiente famigliare sulla bambina).


- tipologie più pericolose di perversioni si possono riscontrare nelle forme narcisistiche più gravi di personalità (maligne) o nelle personalità antisociali (criminali), che in passato venivano raggruppate nel calderone dei caratteri perversi, in quanto caratterizzati da gravi lacune superegoiche (mancanza di coscienza morale) e da un Sè grandioso e onnipotente che adopera l'aggressività in maniera primitiva e senza alcun limite.

D'altronde, tutta la dimensione narcisistica è intensamente pregnante nel mondo del perverso. Secondo Bergeret (1996) la perversione del carattere non è altro che "un tentativo di salvataggio del narcisismo personale grazie agli apporti del narcisismo altrui" (p.273), mentre Kluzer-Usuelli (in Semi, 1988) parla di pseudoidentità del perverso, sottolineando la mancanza di solide identificazioni sia con la madre che con il padre, sostituite da processi imitativi continui (un pò come accade nel film di Woody Allen nei panni del camaleontico Zelig, 1983). Anche da una prospettiva che si discosta di poco da quella puramente psicoanalitica, Boss (1954) descrive il perverso come l'esempio più lampante della persona incapace di essere-nel-mondo amando (il ché ricorda molto l'analogia kleiniana tra il perverso e la persona schizoide) e l'atto perverso come un goffo tentativo di ricerca di relazione, per quanto in maniera primitiva e arcaica (Kohut direbbe che il perverso cerca l'oggetto-Sè di cui ha bisogno per sorreggersi). Lo stesso De Sade scriveva come fosse incapace di poter godere della felicità di un'altra persona e di come il "sadismo" fosse l'unico modo che poteva utilizzare per sentirsi in contatto con l'altro.


Quando si parla di caratteristiche perverse di personalità non strutturate necessariamente in vere e proprie perversioni con condotte sessuali, gli autori preferiscono adoperare il termine perversità, ossia la tendenza a "pervertire", corrompere, trasformare nel contrario, allontanarsi dalla verità. Dal punto di vista relazionale la perversità corrisponde all'intento di distruggere ogni relazione oggettuale, a trasformare l'amore in odio, la cooperazione (come l'aiuto ricevuto in analisi) in sfruttamento e asservimento, cioè, adoperando il linguaggio classico, a trasformare il cibo in feci. Già la Klein (1957) aveva osservato come questi caratteri, così pieni d'invidia, cerchino di succhiare quanto di buono c'è nell'altro fino a svuotarlo e distruggerlo. Meltzer (1973) indica come nel perverso il senso d'identità sia investito massivamente della parte distruttiva del Sè, in una forma costante di negativismo che vuole il contrario, sempre il negativo di ogni aspetto, eleggendo il male come il proprio bene ("alla luce del Principe delle tenebre miltoniano che vorrebbe comandare nell'inferno, piuttosto che servire in paradiso" p.151).


Inoltre molti autori sostengono che la perversione nella sua forma più strutturata sia più vicina all'organizzazione psicotica di personalità che non a quella nevrotica: Glover (1955) ad esempio sostiene che la perversione sia più la negativa della psicosi (piuttosto che la positiva della nevrosi), e che essa rappresenti per la persona una modalità protettiva (attraverso la scissione dell'Io) per salvarsi da un crollo psicotico, riuscendo a negare solo una parte circoscritta della realtà, quella sessuale ("le perversioni aiutano a tenere insieme le incrinature che si manifestano nello sviluppo del senso di realtà", p.36). D'altronde è comune riscontrare nei disturbi gravi personalità o negli stati psicotici (Kernberg, 1984) stati sessualizzati perversi: a determinarne il grado di perversità sembrano essere quindi fattori più quantitativi che qualitativi:


C'è una forte analogia tra il paziente psicotico, che crea una realtà onnipotente in cui può fare tutto quello che vuole, e il paziente perverso, che crea un mondo in cui può sovvertire l'ordine simbolico delle relazioni umane. (De Masi, 19979)



Eziopatogenesi e teorie sulla perversione


Un film di P.P.Pasolini (1976)

Secondo il corpus delle teorie classiche (Balint & Lorand, 1956) tutta l'attività perversa nasce dal tentativo di affrontare l'esperienza traumatica della mancanza del pene sul corpo della madre: il pervertito negherebbe il femminile e quindi l'assenza del pene sul suo corpo (anche le donne sono falliche). Questa percezione di realtà diventa possibile solo al prezzo di una spaccatura profonda nella persona (scissione dell'Io) e un rifiuto parziale della realtà (diniego), di cui il feticcio è il risultato.

Dunque, che il momento edipico rappresenti ancora una tappa cruciale e assai problematica nello sviluppo del bambino (secondo la tesi che l'eterosessualità rimane sempre un'ardua conquista), sembra qui essere confermato dal fatto che le perversioni coinvolgano per lo più il genere maschile, ossia in chi l'angoscia di castrazione possiede maggior peso tra i due generi.


Tuttavia la totalità degli autori è concorde nel considerare il momento edipico solo come l'innesco di un insieme di conflitti e di dinamiche patologiche che riguardano la precedente relazione preedipica madre-bambino, in riferimento a problematiche nel processo di separazione-individuazione come fattore determinante nella formazione della perversione.

Nello specifico, accade che la stessa immagine primitiva della relazione con la madre sadica venga proiettata successivamente sul padre che diventa così eccessivamente castrante e minaccioso; a questo punto, come ricorda Meltzer (1973) descrivendo il fenomeno della "confusione zonale", ne consegue che a livello simbolico gli organi sessuali così importanti durante la fase edipica acquistano significati a sfondo preedipico (la vagina e il pene acquisiscono le stesse valenze simboliche del seno, della bocca e dell'ano, quindi ad esempio nutrendo, punendo, trattenendo...) e si mescolano tra loro in maniera indistinta e condensata, cioè in modo bisessuale.

Ecco dunque perchè il feticcio (l'elemento comune di ogni perversione) servirebbe al perverso come rassicurazione sia contro la castrazione, sia contro la pericolosa madre fallica, rappresentando contemporaneamente il simbolo del fallo ricercato e il possesso del seno materno.


Infatti, per chi fosse a digiuno di teoria psicoanalitica, giova ricordare che se l'esperienza del bambino nel proprio ambiente famigliare non fosse stata "sufficientemente buona", ossia caratterizzata da una cattiva sintonizzazione con le figure di riferimento o da traumi cumulativi (avvenimenti o vissuti ripetuti soverchianti che non possono essere compresi o elaborati dal bambino perchè ancora sprovvisto di adeguate difese di protezione), l'aggressività, sotto forma d'odio (non integrato adeguatamente con un'esperienza generale e prevalente di amore), dominerà in modo pervasivo la percezione e le relazioni dell'adulto. Di conseguenza, tali sentimenti d'odio presenti in modo massiccio non permetteranno all'Io di strutturarsi adeguatamente nel corso della crescita, e porteranno a percepire ogni forma di relazione umana in modo distorto, come altamente minacciosa, primitiva e violenta (cioè in forma paranoidea). Ecco perchè molti autori hanno ipotizzato che il perverso sessualizzi l'aggressività per cercare disperatamente di legare e controllare un'aggressività che egli percepisce come incontrollabile e prevaricante.


La prospettiva comune è che la perversione corrisponderebbe al tentativo del maschio di separarsi dal corpo di una madre (identificazione primaria) che non ha riconosciuto al bambino piena indipendenza, vivendo con lui una sorta di simbiosi "focale" (Greenacre, 1971), principalmente basata sul genere. Khan (1979) giunge a conclusioni simili riferendosi all'idoleggiamento del figlio da parte di una madre che ha basato un legame emotivo col bambino principalmente per la sua funzione di maschio, comportandosi sia in maniera traumatizzante che seduttiva, ossia trattandolo a sua volta come un proprio feticcio, un prolungamento di sè. Green (1973) non a caso parla di "madre nera" che soffoca, schiaccia, controlla, svuota, divora, che trasforma narcisisticamente il bambino nel "fallo della madre" (direbbe Lacan) o in un "oggetto-Sè" (direbbe Kohut). Chasseguet-Smirgel (1984) sottolinea come la madre consideri il proprio figlio un "bambino sposo" (un "giocattolo erotico" scriveva Freud, 1912) nel momento in cui si relaziona con lui in maniera incestuosa, svalutando e negando il ruolo e l'importanza del padre (la procreazione genitale viene soppiantato dalla dimensione pregenitale, la sola a disposizione del bambino).

Secondo Stoller (1975) lo sviluppo specifico della perversione nasce come modalità (struttura difensiva) per fronteggiare un elevato "stress psichico" (angoscia) causato da minacce verso la propria identità di genere durante lo sviluppo psicosessuale infantile (ossia al proprio senso di mascolinità o femminilità, già presente nei primi anni di vita). Secondo l'autore, il perverso si servirebbe delle sue ripetizioni impregnate di una forma d'aggressività del tutto particolare, la vendetta, per convertire il trauma dell'infanzia in una forma di successo trionfale che possa confermare la propria identità sessuale (ostentazione di virilità) attraverso una duplice vittoria: l'intenso piacere dell'orgasmo come trionfo megalomane, e la trasformazione dell'impotenza subita nel trauma in potenza e dominio (l'identificazione con l'aggressore). Goldberg (1994) specifica come la necessità di vendetta del perverso sia specificatamente dovuta alla tipica collera narcisistica di chi durante l'infanzia ha subito un grave trauma al proprio Sè (ferita narcisistica), e una volta adulto cerca di ristabilire una sensazione di dominio e di totale controllo per riparare al torto subito.

Anche la Mcdougall (1990) sostiene come lo scopo del pervertito sia quello di recuperare e confermare a se stesso la propria identità sessuale attraverso l'atto perverso meticolosamente pianificato, o cercando di convincere e "abbindolare" qualcun altro a diventare complice dell'illusione messa in scena spacciata come realtà.


Ecco perchè il normale amplesso genitale rappresenta per il perverso un'intenso pericolo (che di norma esige un Sè stabile e coeso): il temporaneo stato fusionale dell'amplesso risveglia l'angoscia di perdere di nuovo la propria identità, col terrore di venire inghiottito (fantasie incorporative sadico-orali) o seriamente danneggiato (fantasie distruttive sadico-anali).


Il bambino teme di perdere la sua mascolinità e il senso della sua identità di genere maschile, non soltanto perdendo il suo pene prezioso e fragile, ma anche lasciandosi sopraffare dal desiderio di diventare ancora una volta tutt'uno con la buia infinità della femminilità interiore. (R. Stoller, 1975, p.545)


Il fatto che il perverso utilizzi una particolare difesa (la sessualizzazione) nell'affrontare le proprie angosce, è cosa nota da tempo alla psicoanalisi: è infatti ampiamente dimostrato come il bambino nel momento in cui si trova a vivere forti esperienze di sofferenza, possa cercare di trasformarle in sensazioni intensamente piacevoli, ad esempio attraverso l'uso della masturbazione come regolatore della tensione. Esperienze traumatiche possono quindi indirizzare a precoci processi di sessualizzazione che possono poi costituire la via regia alle perversioni adulte come modalità per evitare affetti dolorosi. Fenichel (1945), descrivendo il processo della sessualizzazione delle funzioni dell'Io, spiega come in questi casi la sessualità umana non venga nè indirizzata alla sua mèta (l'atto sessuale mosso dal desiderio erotico) nè trasformata in qualsiasi altro modo (ad esempio attraverso la sublimazione), ma come essa invada piuttosto l'Io in un ambito che non gli compete (il far fronte alla realtà esterna, le angosce e i conflitti), rappresentando quindi una grave forma di regressione.

Steiner (1993) a tal proposito parla di un particolare tipo di rifugio psichico, ossia una forma di ritiro autoerotico (isola autosensuale) che il perverso utilizza per allontanarsi dalle relazioni umane e per creare in pratica un mondo fantasticato atto a procurargli l'agognato piacere sessuale: secondo l'autore infatti il mattone essenziale per lo sviluppo di ogni perversione consiste nel ritiro in uno stato mentale sessualizzato.

Anche Goldberg (1994) vede nelle perversioni un tentativo di riparazione del Sè per colmare deficit strutturali attraverso difese sessualizzate, al fine di evitare esperienze di frammentazione e di disintegrazione del proprio senso di identità (come accade in modo lampante nei casi di satirismo/ninfomania, in cui la sessualità viene usata in modo compulsivo per impedire il contatto con un "Sè svuotato e disperato").


Inoltre come fa notare De Masi (1999) il fatto che la distruttività venga sessualizzata (fornendo un piacere estatico irresistibile) e che la crudeltà sia mantenuta attraverso scissioni profonde che impediscono l'accesso alla comprensione, fanno della perversione una componente patologica particolarmente nociva e regressiva per ogni aspetto organizzativo del pensiero (funzioni sintetiche dell'Io), alterando e amputando le relazioni d'amore della loro fondamentale componente affettiva ("considero il mondo della perversione come determinante da un nucleo sessualizzato, che cerca di sedurre continuamente la parte sana del paziente", p.172). Anche Meltzer (1973) sottolinea come l'essenza stessa della perversione (trasformare il buono in cattivo per poi idealizzarlo ed erotizzarlo), tende ad indebolire ed eliminare, come in un circolo vizioso, la parte sana dell'adulto.

D'altronde, come ha illustrato bene la Chasseguet-Smirgel (1984), l'analità domina il mondo del perverso in modo idealizzato: in esso la differenziazione dei sessi viene cancellata (il fallo genitale viene soppiantato dal fallo fecale), dato che il mondo normativo del Padre (che sancisce la separazione dalla simbiosi con la madre durante il momento edipico) viene evitato e sostituito con un mondo artificiale e ideale basato sulla falsificazione e l'onnipotenza. Tale abolizione di confini sessuali e generazionali cancella inoltre le differenze tra il valore dell'universo pregenitale del bambino (preedipico) e l'accesso a quello genitale del padre (identificazione mediante Super-Io) che di norma richiede fatica, frustrazione e rinunce ("l'idealizzazione tenta di dare ai valori anali la superiorità su quella dei genitali, che sono l'oggetto del diniego", p.233).


Dunque non è propriamente corretto intendere la forma strutturata della perversione solo come una mera risposta all'angoscia di castrazione edipica, come "positiva della nevrosi" o come una fissazione a pulsioni perverse polimorfe, in quanto fratture ben più profonde sconvolgono non solo la sessualità (pervasa di distruttività) ma l'intera organizzazione della personalità del perverso. Perchè l'adulto ricorra proprio alla perversione sessuale rispetto ad altre forme psicopatologiche, rimane ancora un enigma che richiederà ancora tempo prima di essere risolto.


Ma queste forze dinamiche non sono mai spiegazioni sufficienti, per quanto necessarie. Troppi individui con le medesime dinamiche condividono solo la storia e non la patologia. Troppe forme di perversione sessuale non presentano il tipo di storia che ci saremmo aspettati. (Goldberg, 1994, p.32)


Inoltre l'esistenza di una propensione intrinseca umana alla perversione e il postulato psicoanalitico della fusione pulsionale (libido e aggressività sarebbero sempre presenti in un "impasto" che differisce solo per la quantità dei due elementi mescolandosi e temperandosi a vicenda), non bastano a spiegare la psicodinamica particolare e l'organizzazione strutturata della perversione che si basa su quel tratto dell'aggressività specificatamente umano che è la distruttività. Lo stesso Freud (1920) cercò di far luce sulla questione ipotizzando l'esistenza di una "pulsione di morte" intrinseca all'essere umano che anela al nirvana (l'estinzione delle tensioni dovute ai bisogni), similmente al pensiero di Ferenczi (1924) quando rimanda al desiderio latente di tornare allo stato intrauterino.


Il concetto di male, che tradizionalmente implica una responsabilità personale e una colpa incompatibili con una visione scientifica della malattia, è venuto così a far parte integrante di una spiegazione del disturbo mentale. Lungi dal riproporre il pregiudizio e la condanna morale che si sono coagulati nei secoli attorno alla malattia, la psicoanalisi ha consentito un avanzamento sostanziale rispetto a un tema su cui filosofia e religione avevano indagato per secoli. (De Masi, 1999, p.155)



Erotismo di coppia


Un Shunga giapponese (silografie a sfondo erotico del periodo Edo)

Quando non si è in presenza di disturbi gravi del carattere (che, come si è visto, limitano e solitamente pervertono le relazioni oggettuali), gli aspetti perversi polimorfi (fellatio, cunnilingio, l'anale, giochi a sfondo esibizionistico, voyeuristico...) non fanno che arricchire, consolidare e intensificare la vita sessuale del rapporto di coppia, se sostenuto da una relazione "matura" intima e profondamente affettiva (e quindi non a base perversa). Dunque, come suggeriva Freud, tali componenti umani non servono solo a costituire i preliminari dell'atto sessuale genitale di per sè, ma diventano fondamentali per mantenere appassionata e intensa la relazione d'amore nella coppia.


Inoltre la presenza di un Super-Io integrato (ossia una coscienza morale che stabilisca i limiti all'aggressività), permette l'attuazione di uno scenario perverso giocoso, flessibile, sfaccettato e tutt'altro che minaccioso per la coppia. Anzi, è importante evidenziare che se la rigidità esclusiva degli atti perversi costellano il mondo perverso, è altrettanto vero che una sessualità resa monca da inibizione e repressione è spesso indice di una struttura nevrotica di personalità che, a causa di un Super-Io troppo severo e rigido, fatica ad abbandonarsi al pieno godimento degli aspetti sessuali polimorfi. Cioè, come ha suggerito argutamente la McDougall (1990), nella società non esiste solo una sindrome perversa a sè stante, ma anche una "normopatia" fortemente fobica rispetto ad un mondo interno rifiutato e bandito dalla cultura, per quanto intrinsecamente presente nella natura umano.


La nostra epoca è incapace di "integrare" il sistema perverso, non soltanto perchè questo ha la tendenza a porsi rivendicativamente proprio come sistema, ma perchè il mondo moderno, essenzialmente sistematico e macchinale, si è esso stesso feticizzato: la normalità normalizzante è diventata un sistema perverso. (Chasseguet-Smirgel, 1984, p. 168)


Come ha mostrato con precisione Kernberg (1992), l'uso perverso (e quindi l'uso narcisistico) dell'oggetto durante l'esperienza sessuale non è altro che una temporanea regressione dell'Io al servizio dell'eccitazione sessuale che, nella sua forma isolata (come avviene nel perverso), entra in competizione con l'esperienza di totale fusione (seppur temporanea) con l'altro. La messa in atto di fantasie condivise permette alla coppia di liberarsi temporaneamente dalla specifica relazione oggettuale (l'uno diventa oggetto sessuale parziale dell'altro) per dedicarsi ad un gioco sessuale simmetrico, pur continuando a rimanere all'interno una relazione d'amore intima e totale.


Stesso discorso riguarda i processi di idealizzazione dell'anatomia del partner sessuale che, sempre in organizzazioni "alte" di personalità, contribuiscono a fornire, al pari dell'arte e la religione, qualità trascendentali all'amore sessuale che sono in grado di rafforzare e proteggere l'amore anche in presenza di odio (data la natura inevitabilmente ambivalente di ogni relazione umana), e allo stesso tempo soddisfano gratificazioni omosessuali attraverso l'identificazione con l'eccitamento e l'orgasmo dell'altro sesso.


D'altronde già Freud (1910-17) aveva sottolineato come il destino della coppia dipenda fondamentalmente dalla capacità di unire e integrare le due facce dell'amore: quello etico, sublimato, idealizzato, tenero (imparato in seguito al superamento della fase edipica, quando la scarica della pulsione erotica verso la madre viene inibita alla meta) e quello direttamente pulsionale, che cerca il piacere in ogni sua forma di desiderio. Quando ciò non può avvenire nella persona a causa di conflitti, allora si crea una scissione della vita amorosa secondo l'antica espressione de "l'amor sacro e l'amor profano", ossia tra l'idealizzazione della persona amata (ad esempio la moglie) e la corrispettiva degradazione dell'oggetto affinchè gli impulsi perversi possano trovar scarica (ad esempio l'amante, la prostituta).


In tale relazione di coppia, che solo i più fortunati riescono a trovare e costruire, l'aggressività umana si pone così al servizio dell'amore (e non il contrario, come accade nella perversione) in uno scenario straordinario - e forse unico - dove amore (Eros) ed aggressività (Thanatos) finiscono per amalgamarsi senza più essere in contraddizione tra loro.


In nessun individuo sano dovrebbe mancare una qualche aggiunta, da chiamare perversa, alla meta sessuale normale, e questo fatto generale basta di per sè solo a dimostrare l'inopportunità di un impiego moralistico del nome di perversione. (S.Freud, 1905, p. 29)


Riferimenti bibliografici:


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Suggerimenti filmografici:


Bella di giorno (1967) di L. Buñuel

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di P.P. Pasolini

La camera verde (1978) di F. Truffaut

Velluto blu (1986) di D. Lynch

Legàmi! (1990) di P. Almodovar

Luna di fiele (1992) di R. Polanski

La pianista (2001) di M. Haneke

Secretary (2002) di S. Shainberg

Shame (2011) di S. McQueen

Guida perversa al cinema (2012) di S. Zizek

Nynmphomaniac (2013) di L. von Trier

Gran parte della filmografia di M. Ferreri, A. Hitchcock, D. Cronenberg e P. Greenaway

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