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"Se ognuno di noi confessasse il suo desiderio più segreto, quello che ispira tutti i suoi progetti e tutte le sue azioni, direbbe: “Voglio essere elogiato”. [...]
Nessuno è sicuro di ciò che è, né di ciò che fa. Per quanto convinti dei nostri meriti, siamo rosi dall’inquietudine e, per vincerla, non chiediamo che di essere ingannati, di ricevere approvazione ovunque e da chiunque. [...]
La malattia è universale; e se Dio ne sembra indenne, è perché, ultimata la creazione, non poteva aspettarsi lodi per mancanza di testimoni. E’ vero però che se le è tributate da sé alla fine di ogni giornata!"
E. Cioran (1963), La caduta del tempo
Quello del narcisismo rappresenta uno dei più vasti e centrali temi di tutta la nostra epoca, come ha brillantemente riportato Lasch (1979) nel suo celebre testo: se l'isteria è stata la protagonista dei tempi di Freud, e la psicopatologia borderline lo è stata nella seconda metà del '900, di certo è il narcisismo a dominare la scena odierna sotto ogni punto di vista. Se l'uomo descritto da Freud è stato "l'uomo colpevole" (alle prese con dilemmi di natura morale per riuscire a soddisfare i propri desideri), quello di oggi è senz'altro "l'uomo tragico" (Kohut, 1971), che si strugge continuamente per fornire un senso alla propria esistenza e per ottenere un riconoscimento da parte del mondo circostante.
Da quando H. Ellis (1898) attinse dal celebre mito di Narciso, Nacke (1893) coniò il termine e Sadger (1910) ne diede l'accezione odierna durante una delle famose riunioni del mercoledì a casa di Freud, la letteratura sul narcisismo non solo è diventata sterminata, ma anche esageratamente poliedrica e articolata. In effetti in letteratura il concetto di narcisismo rappresenta uno dei più polisemici e problematici termini di tutta la teoria psicoanalitica. La confusione sul tema è tale che quando il gruppo di lavoro per il DSM-5 (2013) si riunì per sviluppare i criteri per il cosiddetto "disturbo narcisistico di personalità", propose addirittura di cancellarlo dal manuale a causa della sua vaghezza concettuale e della scarsità di ricerche empiriche significative a riguardo.
Di conseguenza il termine ha assunto diverse accezioni, a seconda del contesto di utilizzo: come concezione psicopatologica vicina al mito originario (disturbo di personalità narcisistica), come aspetto collaterale di ogni forma psicopatologica (ipocondriaca, perversa, borderline, schizoide...), come tappa delle normale fase evolutive del bambino (narcisismo primario e secondario), come scelta oggettuale nell'amore romantico (omosessuale o ideale), come qualità del Sè (il rapporto della persona con se stessa), come proprietà dell'Io in termini metapsicologici (Ideale dell'Io), come intrinseco carattere biologico dell'essere umano (pulsione dell'Io di autoconservazione o libido narcisistica), e altro ancora.
Il narcisismo "sano" lungo il continuum evolutivo
"Il nascente Sè infantile è debole e amorfo; non ha una struttura durevole o una continuità nel tempo, così non può sussistere da solo; ha bisogno della partecipazione di altri, che gli diano un senso di coesione, di costanza, di elasticità". (Greenberg & Mitchell, 1983, p.349 [1])
Freud (1905) sosteneva che ciò che può risultare patologico nella vita adulta sia normale nel primo sviluppo dell'essere umano. Infatti, per tutta la sua infanzia il bambino ha bisogno di un adeguato nutrimento narcisistico (amore, cure, attenzione...) affinchè possa gradualmente sviluppare un'identità autonoma e soggettiva (Sè coeso) e strutturare la propria mente (con la formazione di istanze e introietti integrati). Ciò che ci ha fatto capire Freud è che occorrono tempo e fatica affinchè il bambino possa diventare capace di amare gli altri oltre che se stesso: tutto il suo progressivo sviluppo consisterà infatti nell'uscire sempre più da una condizione narcisistica quasi assoluta ad uno stato sempre più oggettuale (l'investimento affettivo sugli altri).
Nonostante il neonato sia biologicamente dotato di un primitivo "Sè nucleare" orientato e aperto già verso l'oggetto, seppur in modo rudimentale (Stern, 1985 [8]), egli, in una primissima fase, vive con la madre uno stato di simbiosi totale (Io ed Es, soggetto ed oggetto sono ancora in gran parte indifferenziati), in cui il suo senso d'esistere dipendente dal contatto e la fusione con la madre. Egli nel suo narcisismo si sente un essere onnipotente che trova il seno (e l'appagamento immediato del suo bisogno) proprio laddove lo crea allucinandolo nel momento del desiderio (Winnicott, 1958 [6]).
"Il bambino, agli esordi della vita, vive nell'illusione della propria onnipotenza narcisistica; illusione che viene confermata dalle condizioni di vita del lattante, che riproducono per quanto possibile, grazie alle cure delle persone che lo accudiscono, le condizioni della vita prenatale [di completa beatitudine]." (Grunberger, 1971, p.61)
In seguito l'onnipotenza originaria perduta viene spostata dal proprio Sè ai genitori che divengono l'esempio di felicità e di potere con cui il bambino desidera fondersi per acquisire le loro caratteristiche (Ideale dell'Io): egli si sente vuoto e impotente quando è separato dai genitori, motivo per cui cerca di mantenere un legame costante. La megalomania primaria viene abbandonata a favore di una maggiore relazione oggettuale che assicura al piccolo amore e protezione, a patto che egli impari a vivere all'altezza dell'ideale rappresentato e proposto dai genitori.
"[L'uomo] non vuole rimanere senza la narcisistica completezza della sua infanzia, e se non fosse in grado di mantenerla, disturbato dagli ammonimenti durante il periodo dello sviluppo e svegliato nel suo giudizio, cerca di riconquistarla nella nuova forma dell'Ideale dell'Io. Ciò che egli proietta innanzi a sè come suo ideale è il surrogato del narcisismo perduto della sua infanzia, nella quale egli stesso era il proprio ideale." (Freud, 1914, p. 19)
Con la crescita, l'idealizzazione cede il passo ad una visione sempre più realistica dei genitori (includendovi anche i difetti e i limiti), di modo che, con il superamento dell'Edipo e il consolidamento strutturale nel periodo di latenza, il bambino avrà fatto propri (all'interno di sè attraverso l'identificazione), le figure genitoriali (di solito quella dello stesso sesso), con la formazione di un'istanza psichica ben definita (Super-Io) con proprietà morali, normative (proibitive) e ideali (più attenuale). Da questa nuova istanza interiore l'adulto potrà ricevere gratificazione e approvazione narcisistica (come una sorta di guida interna), al pari del bambino quando riceveva esternamente l'approvazione e il riconoscimento dal proprio genitore a seconda di come si comportava.
"Durante il periodo edipico, infine, in modo simultaneo e parallelo al disinvestimento dell'oggetto-Sè esaltato, il bambino abbandona anche la sua immagine di sé non realistica e grandiosa sotto l'impatto del riconoscimento, appropriato la fase, della natura illusoria delle fantasie edipiche immodificate di narcisismo fallico vittorioso. E' questo disinvestimento finale, massiccio (ma appropriato alla fase) della grandiosità infantile immodificata, comunque, che fornisce ora le energie narcisistiche necessarie per l'investimento coesivo di un sè realistico, di un'autostima realistica e per la capacità di godere delle proprie funzioni e attività adattate alla realtà." (Kohut, 1971, p.186)
Oggigiorno il termine narcisismo ha assunto una connotazione talmente negativa che può sembrare un ossimoro parlare di "sano narcisismo": tuttavia Freud (1905) afferma come il narcisismo sia innanzitutto "il complemento libidico all'egoismo della pulsione di autoconservazione" (libido dell'Io), cioè un aspetto "normale e primario" dell'essere umano. In altre parole, nella sua accezione "normale", il narcisismo sta ad indicare la cura di se stessi e della propria salute, l'amore di sè (e il bisogno di essere amati), il raggiungimento di un certo grado di sicurezza, il graduale perfezionamento, controllo e padroneggiamento (funzioni dell'Io) di certe attività per l'adattamento richiesto dall'ambiente circostante.
Gli stessi ideali che producono nell'adulto la tensione verso scopi e mete nella vita, rappresentano ancora il contrassegno del narcisismo infantile (ideale dell'Io): essi, se integrati e addomesticati adeguatamente con prospettive realistiche e mature (ossia se non incappano nelle trappole dell'assoluto e della pura perfezione), rappresentano un continuo stimolo di crescita verso una benevola tensione e un migliore adattamento della persona, come a suo tempo lo è stata l'aspirazione di essere grande da parte del bambino.
Inoltre, condizioni narcisistiche fisiologiche e psichiche normali si riscontrano ogni notte quando sopraggiunge il sonno (l'Io ritira ogni investimento dal mondo, nonostante la presenza dei sogni che continuano a "far rumore"- vedi qui) o quando la malattia o il dolore personale riducono drasticamente la ricettività e la sensibilità agli altri.
"Quanto più sicura è una persona riguardo alla possibilità di essere accettata, quanto più certo il suo senso di chi egli sia, e quanto più saldamente ha interiorizzato il suo sistema di valori, tanto più egli riuscirà ad offrire il suo amore con fiducia in maniera efficace (estendere cioè i suoi investimenti libidico-oggettuali) senza un'indebita paura di essere rifiutato e umiliato." (Kohut, 1971, p.286)
Il narcisismo come disturbo di personalità (forme marginali di sviluppo)
"I fenomeni che nella letteratura psicoanalitica si definiscono narcisistici presentano caratteri molto divergenti. In essi sono inclusi la vanità, la presunzione, il desiderio di primato e di dominio, il desiderio di essere amati unito all'incapacità di amare gli altri, l'appartarsi dai propri simili, la normale stima di se stessi, desideri ideali e creativi, l'ansiosa preoccupazione della propria salute, della propria apparenza, delle proprie facoltà intellettuali. Sarebbe perciò compito assai imbarazzante il dare una definizione clinica del narcisismo. [...] In contrasto con l'incertezza della definizione clinica, quella genetica è invece precisa: è narcisista l'individuo che, in fondo, è innamorato solo di se stesso." (Horney, 1939, p.89)
Un'accentuazione degli aspetti legati alla dimensione del narcisismo è presente trasversalmente in tutti i disturbi di personalità (forme marginali di sviluppo) e in generale, lungo un continuum di diversa gradazione, in ogni forma psicopatologica. Maggiori sono le lacune narcisistiche della persona (a seconda cioè della forza dell'Io, dell'integrità e della coesione del Sè), più grave è la sua psicopatologia, e quindi minore è la sua capacità di dare, di investire, di empatizzare con i bisogni degli altri (mentalizzazione)... in una sola espressione, la sua capacità di amare.
Esistono infatti diversi sottotipi di narcisismo del carattere (Millon in Rommingstam, 1998), a seconda cioè della presenza di certi tratti prevalenti e complementari nell'organizzazione psichica della persona narcisistica (depressiva/masochistica, psicosomatica/ipocondriaca, grandiosa/ipomaniacale, anaclitica-dipendente, istrionica, paranoica, antisociale...).
In modo analogo, Bergeret (1996), basandosi sul tipo di angoscia principale del narcisismo (la perdita dell'oggetto verso cui il soggetto rimane dipendente), propone di suddividerlo in: caratteri abbandonici (che hanno bisogno di vivere sempre a stretto contatto con surrogati genitoriali che li nutra e li accudisca), caratteri del predestinato (quelli che si considerano vittime di un destino avverso nonostante continuino a reiterarlo attraverso il loro masochismo), caratteri fallici (corrispondenti alla concezione tradizionale del narcisista arrogante e grandioso), caratteri narcisistici-fobici (corrispondenti al tipo ipervigile evitante e chiuso), caratteri depressivi (con reattività ipomaniacali), caratteri ipocondriaci e infine caratteri psicopatici.
Kernberg (1975, 1984) propone di discriminare le forme narcisistiche a seconda del grado di perversità/distruttività (vedi qui) e della presenza di dimensioni etiche/morali, lungo uno spettro che va dal tipico disturbo di personalità narcisistica (con o senza tratti antisociali), al narcisismo maligno (infiltrato da aspetti particolarmente sadici, paranoici e antisociali), fino ad arrivare al carattere psicopatico e al disturbo antisociale di personalità veri e propri (caratterizzati dalla totale mancanza di coscienza morale e da atti miranti allo sfruttamento e alla violenza criminale o parassitaria).
Narcisismo e Identità (il Sè)
Di solito si dice che il narciso sia caratterizzato da un eccessivo amore verso se stesso, ma sarebbe più giusto affermare che "i narcisisti sono dei soggetti feriti - in realtà, carenti dal punto di vista del narcisismo." (Green, 1983, p.17)
"Il narcisismo non è una manifestazione di amore verso se stessi, ma di alienazione dall'Io. In parole povere, l'individuo si attacca alle illusioni su se stesso perchè e nella misura in cui ha perduto se stesso. [...] l'individuo con tendenze narcisistiche si aliena da se stesso nel medesimo modo in cui si aliena dagli altri, e perciò è incapace di amare sia sè sia gli altri nella misura stessa del proprio narcisismo." (Horney, 1939, p.101-102)
Per economia di spazio e per ridondanza concettuale nella letteratura odierna, verranno prese qui in esame solo le due forme narcisistiche più frequenti, ossia quella manifesta e quella inconsapevole (Gabbard, 2019), cercando comunque di includere nella trattazione del tema anche tratti comuni degli altri sottotipi:
- "l'arrogante", o Sè grandioso (Kohut, 1971), "overt/manifesto" (Gabbard, 2019), "pelle spessa" (Rosenfeld, 1987), "fallico-esibizionistico" (Reich, 1933): è il ritratto del tipico narcisista pieno di sè, altezzoso, vanaglorioso, pretenzioso, con scarsa empatia e con un atteggiamento esplicitamente esibizionistico/aggressivo ed autoreferenziale (anche se le fantasie e la percezione di ciò che egli si crede di essere rispetto a ciò che egli è in realtà, rappresentano spesso una parodia). Egli è sempre attivamente alla ricerca di nuove opportunità (il palcoscenico giusto) per sostenere il proprio narcisismo.
- il "timido", o Sè ipervigile, "covert/inconsapevole" (Gabbard, 2019), "pelle sottile" (Rosenfeld, 1987): corrisponde per lo più al narcisista riservato, evitante e inibito, che spesso si ritira socialmente per evitare situazioni che possano procurargli vergogna e ferite narcisistiche a causa dell'alta sensibilità a critiche e sconfitte. Godono di un'altissima ricettività ad ogni sfumatura espressiva dell'altro e sono sempre in cerca di indizi e informazioni dall'ambiente circostante (alto voyeurismo e ipermentalizzazione). Tendono a possedere maggiori tratti depressivi e masochistici, col rischio di farsi sfruttare pur di essere accettati e benvoluti.
Kohut (1971) ha sottolineato l'esistenza nel narciso di una scissione verticale della psiche (l'esistenza fianco a fianco di rappresentazioni opposte del sè e degli oggetti), che produce da un lato un Sè grandioso, arrogante e potente, e dall'altro, in modo del tutto sconosciuto al soggetto, un Sè fragile, tendente alla vergogna e sensibilissimo al rifiuto (affetto rimosso). In altre parole, alla base di ogni narcisista grandioso c'è un Sè non integrato nell'identità della persona (scisso e rimosso), che è depresso, ferito, umiliato. Allo stesso modo alla base di ogni narcisista depresso e timido alberga sempre l'idea latente di un'immagine potente e grandiosa di ciò che la persona vorrebbe essere. Espansione e ritiro (al pari di voyeurismo ed esibizionismo) sembrano quindi costituire due facce della medesima medaglia narcisistica, benchè con espressioni fenomenologiche differenti.
Analogamente, è facile riscontrare nelle forme narcisistiche una sorta di facciata difensiva, un "Falso Sè" (Winnicott, 1965 [10]), ossia una maschera apparentemente "nevrotica" che cerca di continuare a funzionare in modo adattivo nella quotidianità e che tenta di nascondere agli altri l'estrema vulnerabilità presente, mostrando solo gli aspetti che vengono ritenuti accettabili (così come avveniva all'interno delle esperienze primarie). Infatti la dipendenza dall'effetto che è in grado di produrre sugli altri, porta il narciso a preoccuparsi esageratamente della "forma rispetto alla sostanza", nel tentativo disperato di guadagnare stima e autoesaltazione attraverso il continuo sfoggio di successi, gloria, potere, bellezza, fama e ricchezza che possano tenerlo al riparo dal "un senso di falsità, vergogna, invidia, vuoto o incompletezza, bruttezza e inferiorità, [con] le loro controparti compensatorie: ipocrisia, orgoglio, disprezzo, autosufficienza difensiva, vanità e superiorità." (McWilliams, 2011, p. 215)
"Quando allo stato acuto e subacuto, segue una forma di organizzazione cronica, questa tende a creare una corazza narcisistica protettiva e preventiva dei traumi, ma al punto di una sclerosi mortificante che mina il piacere di vivere. La freddezza, la distanza, l'indifferenza, diventano scudi efficaci contro i colpi menati dall'oggetto." (Green, 1983, p.159)
Questo massiccio investimento compensatorio sul Sè è ciò che permette al narciso una maggior capacità funzionale e un migliore adattamento all'ambiente rispetto al border (avendo un Sè meno integrato e con oscillazioni apicali più vistose). Tuttavia, a livelli più gravi di regressione, il senso di coesione del Sè può subire minacce di frammentazione spostate sul corpo attraverso una preoccupazione quasi delirante sulla salute fisica e sulla paura di morire (come nel caso dell'ipocondria), oppure la persona può arrivare a distanziarsi sempre di più dal mondo sociale, riducendo al minimo ogni possibile contatto umano, al limite con la psicosi (come nel caso della personalità schizoide completamente ritirata nel proprio mondo interno).
Narcisismo e Stili difensivi (le difese dell'Io)
Le difese nel narcisismo sono rivolte ad evitare dipendenza, invidia, depressione (anaclitica), ferite e umiliazioni al Sè, in nome di un'illusoria autonomia o autosufficienza, costellate spesso da un'idea di grandiosità c di onnipotenza che fungono da "rifugio mentale" (Steiner, 1993 [3]), da "bozzolo narcisistico" (Modell, 1986 [4]).
L'idealizzazione (primitiva), destinata sempre a infrangersi dinanzi all'inevitabile imperfezione umana, si caratterizza come "l'inflazione psichica" (Horney, 1939) che fornisce alle cose, a sè e agli altri maggior valore di quello che hanno in realtà. La Segal (in Sandler, Fonagy, Person, 1990) fa presente come l'intensa idealizzazione del narciso serva anche per difendersi da tutto un mondo scisso fatto di bruttezze, minacce e slealtà (rappresentazioni paranoiche/persecutorie del Sè e degli oggetti): come nel racconto del Dorian Gray (O. Wilde, 1891) dove l'idealizzazione della bellezza estetica serve proprio a celare ogni traccia del suo mondo interno putrescente.
In modo complementare, la svalutazione, attraverso il disprezzo del mondo esterno, viene usata massivamente dal narciso per esaltare e lodare se stesso, disconoscere i propri aspetti negativi, colpe e responsabilità e collocarli negli altri per sminuirli. Rigettando "fuori" tutte quelle parti di sè incompatibili e disconosciute, egli può continuare a sostenere la propria immagine di Sè perfetta, onnipotente e autosufficiente. E' facile inoltre riscontrare un perfezionismo morboso (come difesa ossessivizzante) finalizzato ad alimentare l'immagine di un Sè iperfunzionante e iperperformante, che però lo lascia sempre deluso e insoddisfatto.
Narcisismo ed Eros (le relazioni oggettuali)
Il marchio di fabbrica del narcisismo è l'incapacità di amare l'altro (l'oggetto), in quanto esso serve prevalentemente al mantenimento dell'omeostasi del narciso attraverso la gratificazione dei suoi bisogni: essere accudito e amato incondizionatamente (come nel dipendente-anaclitico), abbassare le tensioni sessuali (l'altro, quasi indiscriminatamente, viene usato in senso masturbatorio), ricevere conferma e rispecchiamento del valore e dell'eccezionalità del proprio Sè, anche indirettamente (il partner viene scelto come esposizione di un trofeo).
Kohut (1971) non a caso ha coniato l'espressione Oggetto-Sè per definire l'altro che, al di là dell'essere desiderato (e quindi amato e odiato), è necessario al narciso per il mantenimento di un Sè coeso e sicuro: esso costituisce "una funzione che la struttura psichica [del narcisista] è incapace di svolgere" (p.54), cui l'assenza o la scomparsa definitiva portano ad uno squilibrio importante.
I bisogni narcisistici gli rendono assai difficile accorgersi e capire cosa succede nella testa degli altri, che rimangono confinati nel ruolo di casse di risonanza, testimoni, spettatori, come accade per "Eco" nel mito originario. Infatti dagli altri il narciso è solito aspettarsi riconoscimenti, diritti e favori che in realtà non gli sono dovuti, pretendendoli però senza che egli debba compiere alcun sforzo per meritarseli: i suoi bisogni devono essere quasi letti mentalmente per non essere sottoposto all'umiliazione di dover chiedere.
Il paradosso è che sono proprio gli stessi meccanismi narcisistici a deludere inevitabilmente le aspettative iniziali riguardo alla capacità dell'altro di appagarne i bisogni: il controllo (onnipotente) della relazione con l'altro e il bisogno insaziabile d'amore e d'attenzione alla lunga soffocano e diventano insopportabili per la maggior parte delle persone.
Capita spesso che il narciso (grandioso) cerchi nella relazione di coppia qualcuno totalmente dipendente da lui da poter disprezzare e svalutare: il partner diventa cioè il rappresentante del proprio Sè dipendente e fragile che egli cerca di espellere attraverso un contatto continuo con l'altro (identificazione proiettiva). Se nelle relazioni di coppia, gli oggetti (i partner) gli appaiono un pò tutti uguali ed intercambiabili, è perchè di fatto essi continuano ad essere sempre contenitori (Oggetti-Sè) di aspetti proiettati di se stesso.
Oppure, nelle sue forme più masochistiche/depressive (come nell'ipervigile), può accadere che sia il partner a venire idealizzato dal narciso attraverso l'attribuzione di qualità straordinarie al di là di qualsiasi dato reale (Oggetto-Sè idealizzato): esso viene scelto in base alle qualità che egli vorrebbe avere per sè (incorporazione).
Se la grandiosità compensatoria del Sè narcisistico ricerca il ripristino di un'illusoria onnipotenza, la speranza di un un oggetto narcisistico ideale insegue la perfezione perduta.
"Io non sono nulla, ma c'è almeno qualcosa di grande e di perfetto fuori di me, qualcosa che è depositario di ciò che un tempo io ho sperimentato. Tutto ciò che ora possa fare è cercare di legarmi a quest'oggetto, e anche se ora sono niente dopo diverrò immenso come lui." (Kohut, 1987, p. 109)
Di fatto, la dipendenza - o la negazione della separazione (Rosenfeld, 1987) - rimane il nucleo centrale del narcisismo (Bergeret, 1996), anche se si manifesta nella sua forma reattiva (la controdipendenza), ossia attraverso una fuga dalle relazioni oggettuali: il timore di creare una dipendenza con l'altro porta il narciso a tentare di vivere una sorta di illusoria autosufficienza dal punto di vista emotivo e relazionale. Il fascino che esercita il narcisismo di certe persone deriva proprio dalla loro apparente indifferenza dal mondo e da questa ingannevole indipendenza beata.
Tutto ciò che gli ricorda la sensazione del bisogno viene vissuto con intensa sofferenza: quel che ha valore nel mondo esterno dev'essere vissuto come estensione del Sè e sempre soggetto al proprio controllo. E' infatti nella realizzazione dell'intensità della propria debolezza e del bisogno dell'altro che risiede la sofferenza narcisistica: ammettere la propria dipendenza significherebbe far crollare l'illusione megalomanica del Sè autosufficiente e grandioso. Ma è proprio il particolare bisogno che il narciso ha dell'altro a renderlo fatalmente vulnerabile anche alle più blande ferite narcisistiche che finiscono per indurlo a ricercare con forza sempre maggiore rifugio e ristoro nelle illusioni grandiose e ideali del proprio Sè. In altre parole, nella dinamica narcisistica si crea un circolo vizioso (Madeddu, 2020) in cui l'intenso bisogno di feedback e di giudizio da parte dell'altro instaura una perenne sensazione di pericolo e di minaccia al proprio Sè, che porta come reazione la negazione della dipendenza dell'altro e la conseguente compensazione con l'immagine di Sè grandiosa e ipertrofica, che tuttavia, data la sua fragilità, richiede di nuovo l'approvazione dell'altro per essere sostenuta .
"[...] L'oggetto in sè non è nè fisso nè permanente. Esso è aleatorio, nel tempo come nello spazio. Cambia d'umore, di stato, di desiderio e costringe dunque l'Io a un considerevole lavoro d'aggiustamento. Infine, l'oggetto ha desideri suoi propri, che coincidono con quelli dell'Io solo parzialmente. Ha la sua meta e il suo oggetto, che non vanno necessariamente nel senso della reciprocità cui l'Io aspira. Una fonte di trauma in più, se ce ne fosse bisogno, come mostra l'incapacità dell'Io a controllarlo." (Green, 1983, p.143)
"Accettare l'oggetto vuol dire accettare la sua variabilità, i suoi rischi, accettare che possa entrare nell'Io e poi lasciarlo, ravvivando così le angosce di separazione e penetrazione." (ibid., p.170)
Narcisismo e affetti (configurazione pulsionale)
E' molto comune che la persona narcisistica lamenti un senso cronico di vuoto e di noia esistenziale, un'inadeguatezza di fondo, un'infelicità vaga e generale in una vita in cui spera sempre di trovare prima o poi il sacro Graal che possa saziarla e rivitalizzarla una volta per tutte. Tuttavia le dinamiche narcisistiche sono impregnate da affetti tipici.
L'invidia: le cose buone degli altri, le loro capacità e gli aspetti che il narciso vorrebbe avere per sè, rappresentano tutti pericoli perchè ne mettono in discussione l'onnipotenza e l'autosufficienza, ossia mettono a nudo l'intenso bisogno dell'altro. E' intollerabile che possa esistere qualcosa di buono e di migliore che non sia già posseduto dal Sè narcisistico: egli deve esperire se stesso come luogo di ogni perfezione, e l'altro, visto sempre in termini di superiore o inferiore, viene attaccato per proteggere il narciso dalla sua stessa invidia. Ed è nell'invidia, e quindi nella mancanza di gratitudine (Klein, 1952), che ha sede il germe della forza distruttiva (aggressività/perversità) del narciso.
L'avidità (orale): l'oggetto idealizzato o invidiato (per le sue buone qualità) deve essere svuotato, depredato, "vampirizzato", affinchè egli possa incorporarne caratteristiche e qualità e non averne più bisogno. "Il furto diventa il modo per considerarsi risarciti di un danno o di una perdita che essi sentono di avere subito ingiustamente nell'infanzia" (Mancia, 2010, p.101), e invece che essere accompagnato da un genuino senso di colpa, viene esaltato dal narciso con un senso di trionfo e orgoglio, per essere stato in grado di riparare autonomamente l'antica ferita narcisistica.
La vergogna: è l'affetto tipico provato dalla persona che sente di non essere stata all'altezza del proprio ideale, a seguito di insuccessi o situazioni in cui viene scoperto il lato nascosto di Sè.
Kohut (1971) attribuisce come causa primaria della vergogna l'intensa forza esibizionistica non neutralizzata che continua a persistere nel narciso anche dopo aver subito una sconfitta nella realizzazione delle sue mete ambiziose (facendo quindi emergere la consapevolezza delle proprie debolezze).
La collera narcisistica: reazioni aggressive esplosive sorgono spesso a seguito di minacce anche minime alla propria autostima o a fronte di piccole frustrazioni rispetto ai propri bisogni da soddisfare. La vendetta rappresenta una manovra atta a ristabilire nel narciso ferito un senso di potere e di superiorità di sè.
La depressione narcisistica: sono frequenti crolli depressivi a seguito di fallimenti, delusioni, rifiuti, e con l'avanzare dell'età e il conseguente declino del corpo, possono verificarsi improvvise risposte reattive (ipomaniacali) come intense prove di resistenza fisica, chirurgie estetiche, promiscuità sessuali, conversioni religiose, atti a negare la perdita della grandiosità narcisistica.
Narcisismo e Ideale dell'Io
Ciò che viene comunemente chiamata "autostima" altro non è che la risultante dello scarto tra l'Io e l'Ideale dell'Io, ossia l'immagine ideale a cui il soggetto vorrebbe conformarsi, secondo le sue fantasie grandiose irrealistiche: quanto più risulta grande il divario tanto più la persona è incapace di riconoscere autonomamente i propri successi e godere del piacere delle proprie attività (Mancia 1990).
In un'integrazione ottimale l'Ideale dell'Io viene inglobato nel Super-Io, nel senso che gli ideali e le aspirazioni vengono ridimensionate e vagliate dalle proibizioni e dai limiti della coscienza morale: chi, come il narciso, non ha completato questo processo, si ritroverà continuamente ad inseguire ed aggrapparsi a oggetti idealizzati da cui assicurarsi interesse e approvazione.
"Fissate inconsciamente a un oggetto-Sè idealizzato che continuano a desiderare ardentemente, e private di un Super-Io sufficientemente idealizzato, queste persone sono sempre alla ricerca di autorità esterne onnipotenti, dal cui appoggio e dalla cui approvazione cercano di trarre forza." (Kohut, 1971, p.89)
Inoltre l'Ideale dell'Io del narciso ha conservato la sua natura irrealistica, persecutoria, irraggiungibile: l'inseguimento dell'Ideale dell'Io ha infatti come mete il ritorno dell'onnipotenza originaria, la negazione del limite, il recupero dello stato di beatitudine iniziale (mentre il raggiungimento di uno stabile Super-Io promuove il senso della realtà, del limite, della proibizione). Ecco perchè, in mancanza di un Super-Io ben consolidato, il narciso non ha raggiunto del tutto una vera e propria coscienza morale, e quindi è difficile che egli possa provare un costernante senso di colpa o un genuino rimorso; tuttalpiù la preoccupazione di non far del male deriva dal timore di essere scoperto: "l'Io ideale è più edonistico di quanto il suo Super-Io non sia severo." (Grunberger, 1971, p.54)
Eziopatogenesi
"Il bambino si è circondato di espedienti che servono a tenere a distanza gli altri e a proteggerlo dalla delusione traumatica di non essere compreso e di non ottenere risposte adeguate." (Kohut, 1971, p. 294)
Già Freud (1914) aveva visto come fattore predisponente al narcisismo l'incapacità da parte del genitore di vedere il bambino per quello che è, proiettandovi aspettative e desideri di ciò che dovrebbe essere, ossia come riflesso e appendice del proprio narcisismo personale. Infatti già molto presto il bambino comprende che le dimostrazioni affettive da parte dei genitori giungono proprio nel momento in cui egli mette in atto i comportamenti e le risposte che meglio soddisfano le loro aspettative. Parimenti la Miller (1975) ritiene che siano proprio i bambini maggiormente dotati a venire inconsciamente strumentalizzati dai genitori per nutrire il narcisismo della famiglia, crescendo poi senza più sapere se i loro pensieri e la vita che conducono appartengano a loro o ai genitori.
Secondo la McWilliams (2011) se il comune narcisismo è figlio della mancanza di "una particolare attenzione" genitoriale, le forme più gravi (come la psicopatia) provengono quasi sempre da storie di abusi o gravi traumi, come d'altronde conferma la ricerca su devianza e antisocialità (Dazzi e Madeddu, 2006 [5]).
"Questi è come un bambino che sente di dover presentare un conto antico aperto nell'infanzia e non pagato dai suoi genitori a tutti quelli che incontra nella società e con i quali pretende di avere questo diritto di essere risarcito per il conto mai pagato." (Mancia, 2010, p.102)
Tutto lo sviluppo del Sè del bambino procede grazie alla sintonizzazione (Stern, 1985 [8]), al sostegno ("l'holding" di Winnicott, 1958 [6]), al contenimento ("reverie materna" di Bion, 1967 [7]), all'empatia (Kohut, 1971), alla funzione di "Io ausiliario" (Spitz, 1958 [11]): alterazioni eccessive di tali processi impediscono la costruzione e il consolidamento di strutture interne nella mente del bambino (oggetti buoni interiorizzati) in grado di garantirgli una certa sicurezza narcisistica e la fiducia e la guida per gli investimenti affettivi futuri.
Fonagy (2001 [12]) parla di necessità di rispecchiamento empatico parentale per permettere al bambino di integrare ogni aspetto di sè affinchè alcune parti non diventino disconnesse dalle altre ("Sè alieno"), e quindi mal gestite con difese arcaiche. Il bambino infatti può sviluppare un Sè coeso solo se i genitori sono riusciti a sviluppare un ambiente sicuro e "sintonizzato" adeguatamente con i suoi bisogni (che sia quindi empatico, capace di ridurre e contenere fattori traumatici e in grado di fornire stimoli appropriati alla fase evolutiva).
"L'Io globale del bambino si arricchisce e si rafforza, così, attraverso l'assunzione di una propria immagine narcisisticamente completa, riflessa dall'oggetto e da questo confermata e valorizzata. Lo specchio nel quale il bambino può riconoscere la propria integrità narcisistica è costituito innanzitutto dal genitore, che gli conferma, attraverso l'amore, il narcisismo. [...] Se per qualche ragione questa spontanea collaborazione è turbata, tutto il processo si conflittualizzerà." (Grunberger, 1971, p.169)
Kohut (1971) afferma che se il bambino subisce ripetuti e ingenti traumi narcisistici, la grandiosità del Sè si può conservare in forma inalterata anche nella vita adulta attraverso l'intento di raggiungere scopi arcaici di ammirazione e amore; allo stesso modo, se il bambino sperimenta delusioni traumatiche rispetto al genitore che ammira (oggetto-Sè idealizzato), allora esso continuerà a venire ricercato continuamente nella vita adulta per il mantenimento dell'omeostasi narcisistica. Ad esempio, privazioni traumatiche e l'assenza o l'improvvisa mancanza (anche emotiva) del genitore che si verificano durante l'infanzia (primo periodo di latenza compreso), procurano una "forma intensa di fame d'oggetto" (p.53) e impediscono al bambino la possibilità di sperimentare le graduali disillusioni verso l'oggetto idealizzato, con una visione più realistica e ridimensionata. L'oggetto rimane così irraggiungibile e verrà inseguito per il resto della vita adulta, oppure, per compensazione, verrà sostituito con l'originario Sè grandioso come bersaglio di ogni investimento ideale.
Ad esempio Kohut (1971) sottolinea l'importanza di una solida e integrata identificazione con il rivale edipico durante la fase edipica (l'oggetto ideale che costituisce il modello per la crescita), al fine di un adeguato sviluppo narcisistico.
"Se il bambino non ha nella realtà nel suo arrivare adulto, a causa ad esempio della morte dell'assenza del genitore dello stesso sesso durante la fase edipica, o se il rivale adulto è svalutato dall'oggetto d'amore edipico, o se l'oggetto d'amore edipico eccita la grandiosità e l'esibizionismo del bambino, o anche se il bambino è esposto a varie combinazioni di queste costellazioni, allora il suo narcisismo fallico e la sua grandiosità, che sono appropriate alla prima fase edipica, non vengono messi a confronto con i propri limiti reali, che generalmente vengono sperimentati in modo appropriato al termine della fase edipica, e nel bambino rimane fissata la sua grandiosità fallica." (ibid., p.146)
Tuttavia sono proprio le delusioni tollerabili ("le frustrazione ottimali") che portano allo sviluppo di strutture interne che permettono al bambino di imparare a tollerare sempre più autonomamente le tensioni narcisistiche e ad autoregolarsi emotivamente (ad esempio per consolarsi e calmarsi o fornirsi sostegno e calore emotivo). Infatti, un'educazione che sia esageratamente permissiva ed indulgente o che ecceda in gratificazioni immediate alle richieste del bambino, ostacola il superamento del Sè grandioso, la sua onnipotenza e l'inevitabile frustrazione imposta dai limiti della realtà (sono sempre infatti la mancanza dell'oggetto e la tensione del desiderio ad instaurare il principio di realtà).
"La prontezza della madre nel rispondere ai bisogni del bambino evita ritardi traumatici nel ristabilimento dell'equilibrio narcisistico quando questo viene disturbato, e se il margine d'imperfezione delle risposte materne è tollerabile, il bambino modificherà gradualmente la sua originaria fiducia cieca e illimitata nella perfezione assoluta delle risposte materne. [...] ad ogni lieve fallimento empatico, incomprensione o ritardo della madre, il bambino ritira libido narcisistica dall'imago arcaica di perfezione assoluta (narcisismo primario), e acquista in sua vece una particella di una struttura psicologica interna che sostituisce la madre nella sua funzione di mantenere l'equilibrio narcisistico." (ibid., p.70)
Kernberg (1975) descrive il narcisismo come l'effetto di eccessive frustrazioni infantili che nel tempo hanno lasciato un tale odio nei confronti del mondo esterno da avere portato il bambino a sviluppare una graduale ipercompensazione e un massiccio iperinvestimento reattivo sul Sè (grandioso), costretto a diventare capace di nutrirsi esclusivamente da solo, non potendo più aspettarsi nulla dagli altri (rimanendo tuttavia avidamente affamato di attenzione e affetto). In un certo senso il Sè grandioso è la risposta ipomaniacale del Sè depresso (dove l'euforia si alterna alla vergogna e alla depressione), così come l'atto di svalutare, attaccare e umiliare l'altro può rappresentare la trasformazione attiva delle ferite narcisistiche che il bambino ha sperimentato passivamente durante la sua vita infantile (identificazione con l'aggressore), in una dinamica familiare narcisistica che esiste e si mantiene per generazioni.
"Tale narcisizzazione sarà tanto più forte, quanto più l'oggetto investito sarà stato deludente. Delusione più che frustrazione, perchè all'origine della depressione c'è la delusione. La delusione implica tanto più facilmente il movimento depressivo quanto più i due oggetti (interno ed sterno, materno e paterno) saranno stati precocemente delusivi, infidi, ingannevoli, Il soggetto ha perso la fede in loro. Essi sono diventati troppo 'reali' prima del dovuto. Al soggetto non rimane che contare sulle risorse della fiducia - illusoria - che egli pone, per compensazione, nella propria onnipotenza." (Green, 1983, p.143)
Mitchell (1986) sostiene che il genitore debba essere in grado di muoversi parallelamente tra due bisogni educativi, quello dell'illusione (che sostiene il narcisismo) e quello della realtà (che lo smorza), ossia fornendo una partecipazione completa e variegata che sappia giocare con le illusioni grandiose del bambino, ma che sia poi in grado di riportarlo ad un esame di realtà adeguato dinanzi a delusioni, limiti e insuccessi. Se invece il genitore è egli stesso troppo dipendente dalle illusioni narcisistiche (trattando inevitabilmente anche il figlio in maniera narcisistica, ossia come mera estensione di sè), il bambino capisce ben presto che l'unico modo per entrare in contatto con il genitore è partecipare alle sue medesime illusioni (come ad esempio il caso del bambino che deve essere perfetto e straordinario per diventare visibile, ossia degno d'amore, dal genitore).
"Il narcisismo sano riflette la sottile dialettica tra illusione e realtà; le illusioni su di sè e sugli altri vengono generate, godute in maniera giocosa e abbandonate di fronte a delusioni. Nuove illusioni si creano e si dissolvono in continuazione. [Nel narcisismo patologico invece] le illusioni sono prese troppo sul serio, ci si insiste troppo sopra. In alcuni disturbi narcisistici le illusioni narcisistiche sono conservate in maniera attiva e consapevole; la realtà è sacrificata per conservare la devozione all'autonobilitazione, all'idealizzazione e alla simbiosi, dedizione che crea uno stato di dipendenza." (Mitchell, 1983, p.72)
Narcisismo primario, pulsione di morte ed esistenza
"Chi conosce la vita interiore dell'uomo, sa che non vi è cosa più difficile della rinuncia a un piacere già una volta gustato. Effettivamente noi non possiamo rinunciare a nulla e solo barattiamo l'una cosa con l'altra" (S.Freud, 1907)
Freud ha ipotizzato l'esistenza di un tempo nella vita psichica dell'uomo in cui egli ha potuto godere di un periodo di perfetta e completa beatitudine, di totale "nirvana" in cui non esistevano desideri, bisogni, frustrazioni, sofferenze, perdite: ossia la vita prenatale del feto totalmente protetto nel suo "uovo". Freud (1929) definì tale vissuto "sentimento oceanico" (in allusione al liquido amniotico), mentre Grunberger (1971) lo chiama "stato di elazione prenatale": il bambino è una sorta di dio onnipotente e immortale immerso in un'atmosfera di quiete in cui la concezione del bisogno non è nemmeno concepita ("il bambino in questa fase non è il centro dell'universo, è l'universo stesso" ibid., p.70). D'altronde, Freud, parlando di narcisismo primario, alludeva a quel primissimo momento della vita del neonato in cui, per sopperire al crollo del suo "l'Io cosmico" (Federn, 1952 [16]), cerca di ristabilirlo attraverso il sonno e il totale apporto narcisistico da parte della madre.
"I connotati del narcisismo (onnipotenza, autonomia, aconflittualità, unicità, valorizzazione di sè, tendenza spontanea all'espansione, sentimento di infinito, dell'illimitato, dell'eternità, ecc.) sono inscritti nella matrice prenatale." (Grunberger, 1989, p. 229)
Traumatizzato per l'uscita dal suo mondo perfetto (Rank, 1924 [14]), il bambino dovrà sempre più strutturare la propria psiche su una base oggettuale (pulsionale), ossia dovrà imparare a farsi carico per tutta la vita della "maledizione" del desiderio: "dal parassita narcisista che era, deve ora diventare un individuo attivo che porta ormai sulle proprie spalle il peso della propria esistenza (è stato cacciato dal Paradiso, e deve soddisfare i propri 'bisogni' col sudore della fronte)." (Grunberger, 1971, p.26).
"Il desiderio è il movimento attraverso il quale il soggetto è decentrato, vale a dire che la ricerca dell'oggetto della soddisfazione, dell'oggetto della mancanza, fa vivere al soggetto l'esperienza che il proprio centro non sia più in lui stesso, ma fuori di lui, in un oggetto da cui è separato, al quale egli cerca di riunirsi, per ricostituire per mezzo dell'unità - identità ritrovata -, nel benessere che segue all'esperienza di soddisfacimento, il suo centro." (Green, 1983, p.20)
Tuttavia, siccome nulla della vita mentale del bambino viene perduto, un'orma indelebile di tale stato elazionale rimarrà inevitabilmente impressa nell'adulto: questa esperienza accompagnerà l'essere umano per tutta la vita come un'intensa nostalgia di lontana memoria inconscia, conservando sempre nell'adulto la sua originaria attrattiva.
Riflesso di tale aspetto è la comparsa, in ogni tempo e cultura, dell'idea di un "paradiso perduto" (il giardino dell'Eden da cui l'uomo viene cacciato a causa della comparsa del desiderio, la mela proibita), del "paese della cuccagna", dell'età dell'oro, di uno "Shangri-la" dove si potrà finalmente smetterla di soffrire, e si potrà avere tutto a volontà senza faticare.
"Lungi dall'ammetterlo (il mantenimento dell'illusione di onnipotenza con la quale nasce gli sembra più importante del soddisfacimento pulsionale in senso proprio), l'uomo parte alla ricerca delle vie e dei mezzi che gli permettano la riconquista di questa onnipotenza illusoria e il mantenimento di questa finzione. L'essenziale sarà ormai per lui riuscire, in un modo o nell'altro, a effettuare la restaurazione della sua integrità narcisistica." (Grunberger, 1971, p.84)
Dunque, se "lo sviluppo dell'Io consiste in un allontanamento dal narcisismo primario e provoca un intenso anelito a riconquistarlo " (Freud, 1914, p.24) è possibile che esista una forza che si oppone alla progressione faticosa dello sviluppo verso la vita oggettuale (da cui dipende la possibilità o meno di appagamento libidico), per riportare l'uomo a tale stato narcisistico originario (anoggettuale). Una forza regressiva (una tensione nostalgica) che rifiuta la realtà esterna e i legami (libidici) con essa, per "ricondurre l'irrequietezza vitale alla stabilità dello stato inorganico... [e a] preservare l'organismo dalle pretese delle pulsioni di vita (o libido) che mirano a disturbare il corso dell'esistenza così com'è" (Freud, 1924, p.6).
E se Freud ha chiamato questa forza pulsione di morte (Freud, 1920), accostando quindi intimamente il narcisismo (in questa sua essenza anogettuale) alla morte (il grembo della pace eterna per antonomasia), probabilmente è perchè vedeva nella distruttività (una qualità esclusivamente umana, assente in tutto il resto della biologia), la scorciatoia più rapida per sfuggire al malessere della realtà (o per ritrovare il benessere perduto). D'altronde lo stesso mito di Narciso finisce con l'autodistruzione.
Green (1983) analogamente parla di una forza narcisistica assoluta nell'uomo (narcisismo di morte) che intende abolire ogni tensione, che cerca la liberazione totale dal desiderio e dalla vita pulsionale (per non essere più schiava dagli oggetti, così causa di dolore), e che vuole ripristinare uno stato di quiete "a livello zero di investimenti", ossia che rende la vita equivalente alla morte, neutra (ne-uter).
Tale forza regressiva è presente trasversalmente in tutta la psicopatologia, anche se è possibile osservarla in maniera manifesta in alcune sue forme: nella psicosi. in cui è la stessa psiche a venire distrutta e la realtà è ricreata attraverso deliri e allucinazioni - Bion (1962) [9] non a caso parla di "parti psicotiche di personalità" presenti in ognuno di noi -; nei casi estremi di pura distruttività (disimpasto pulsionale), in cui è la stessa distruttività a venire idealizzata (similmente alla perversione in cui l'aggressività viene invece sessualizzata - vedi qui), allo scopo di eliminare ogni aspetto umano (libidico) in sè e negli altri - come accadde col fenomeno sociale del nazismo -; nella tossicomania, in cui il soggetto, attraverso la sostanza (l'oggetto-Sè idealizzato bramato e odiato), cerca di ricreare un "paradiso artificiale" lontano da ogni dolore della realtà; nell'ascetismo-fanatismo mistico/morale/ideologico, in cui il soggetto rifugge (nega) il mondo impuro e imperfetto dei sensi e i suoi piaceri (tellurici), per rimanere solo (il sentimento di essere migliore attraverso la rinuncia) e rincorrere l'oggetto/Sè/idea idealizzati attraverso l'estasi; nelle forme depressive-masochistiche gravi, in cui è contro la stessa persona che si rivolge la distruttività (Super-Io arcaico persecutorio), fino ad arrivare al suicidio (il ritorno alla quiete indisturbata della morte, e parallelamente l'attacco distruttivo verso gli affetti ancora in vita).
"[...] non si può misconoscere che al soddisfacimento della pulsione di morte si riallaccia un godimento narcisistico elevatissimo, poichè essa offre all'Io l'appagamento dei suoi antichi desideri d'onnipotenza. Temperata e imbrigliata, in certo qual modo inibita nella meta, la pulsione distruttiva diretta verso gli oggetti procura all'Io il soddisfacimento dei suoi bisogni vitali e il dominio della natura." (Freud, 1929, p. 608)
Tuttavia, Grunberger (1971) fa notare il fatto che l'uomo sia disposto ad accettare i limiti e i compromessi della realtà solo perchè sa che i residui di tale soddisfazione originaria "elazionale" si possono continuare a rinvenire anche nella vita adulta attraverso l'orgasmo genitale (in cui le due componenti sessuali tornano a formare l'unità biologica), e, in momenti di intensissima attività, anche nella sublimazione (Loewald, 1988 [15]). Anche Ferenczi (1924 [13]) aveva ipotizzato che il fine inconscio dell'esistenza non fosse altro che il ritorno all'utero materno, di cui la simbiosi neonatale costituisce la più stretta manifestazione e la fase edipica rappresenta l'ultimo stadio infantile di questo antico derivato nostalgico.
"L'acme dello sviluppo umano contiene quindi la promessa di un ritorno al seno materno, cioè alla fase più arcaica dello sviluppo. E' proprio la nostalgia del nostro passato glorioso (del tempo in cui eravamo noi stessi il nostro ideale) che ci spinge in avanti. Fra questi due momenti si situa tuttavia tutta l'evoluzione psicosessuale dell'uomo." (Chasseguet-Smirgel 1975, p.16)
Green (1983) infatti, seguendo il pensiero freudiano, osserva come tanto la pulsione libidica (attraverso l'inseguimento del piacere) quanto il narcisismo (attraverso la ricerca di quiete) condividano il medesimo scopo, ossia la scarica della tensione (principio economico) - che, come aveva giustamente ipotizzato Freud (1920), rappresentano entrambi un approdo all'originario stato elazionale (o mortifero), seppure attraverso due forme diverse -. Tuttavia, se il narcisismo primario pretende un'abolizione assoluta e permanente della tensione, la pulsione, essendo per sua natura inesauribile (l'Es è la fonte e l'Io il serbatoio) e mai del tutto soddisfacente (data la presenza dell'oggetto), permette solo una temporanea riduzione della tensione del desiderio ("la calma non equivale a totale inerzia"). Dunque, la libido, continuando ad essere sempre disponibile per ogni attività sublimatoria (in cui la libido oggettuale diventa libido narcisistica) e per i moti inibiti alla meta (gli affetti - primo tra tutti la tenerezza - che forniscono una qualità al piacere, permettono di conservare l'attaccamento all'oggetto fissandone l'investimento), spinge incessantemente a generare, costruire, legare e conservare, ossia a volgersi al servizio della pulsione di vita, la quale esige che il desiderio e la beatitudine originaria non possano mai venire completamente e totalmente soddisfatti (principio di realtà, secondo cui la felicità può essere solo uno stato, mai una meta: "[...] la perdita del paradiso insieme alla speranza di ritrovarlo, dove la perdita è condizione della possibilità di ritrovamento." Grunberger, 1989, p.226)
E in aiuto alla pulsione di vita, l'essere umano dispone di uno straordinario strumento affinato per migliaia di anni, il proprio inconscio, sempre eloquente e rumoroso attraverso il sogno (che ogni notte fa breccia nel narcisismo del sonno, vedi qui) e continuamente operante nell'atto creativo (vedi qui).
"In realtà essa [la situazione elazionale] non viene mai raggiunta perfettamente e se così non fosse sarebbe inconcepibile qualunque evoluzione. Resta tuttavia una promessa, una virtualità: l'uomo proietta nel futuro ciò che ha conosciuto una volta e la sua ricerca non è mai totalmente vana, poichè, se egli non ottenesse mai una soddisfazione elazionale, nemmeno così vi sarebbe alcuna possibilità di evoluzione." (Grunberger, 1971, p.206-207)
Secondo Freud (1929), per tutta la vita l'uomo si trova in conflitto con queste due forze sempre "impastate" tra loro secondo diverso gradiente in un equilibrio sempre variabile (la loro demarcazione netta è una speculazione esclusivamente teorica). Analogamente anche Fromm (1976) vede l'essere umano eternamente conteso tra due forze principali, una (la biofilia) che lo spinge verso un'accettazione della realtà con risposte progressive e produttive, e l'altra (la necrofilia) che sostiene una realtà illusoria con risposte regressive e distruttive.
"E' essenziale comprendere che inevitabilmente questi spostamenti daranno luogo a soluzioni imperfette, sempre più o meno insoddisfacenti - è la vita! si dice. Infatti, il ritrovamento dell'esperienza di soddisfazione originaria è un fantasma costruito a posteriori e la ricerca della sua ripetizione un'illusione. Ma tuttavia è proprio in virtù sua che la libido va sempre in cerca di nuovi investimenti che comportino una soddisfazione pulsionale più o meno sublimata." (Green, 1983, p.21)
Tuttavia, se Freud ha utilizzato proprio il mito di Edipo come colonna portante delle sue scoperte, è per farci intendere che lo sviluppo umano può progredire solo abbandonando l'illusione del ripristino della completezza e la perfezione del narcisismo primario (di cui la fusione con la madre è rappresentante): il superamento dell'Edipo insegnerà al bambino la necessità di attraversare il lento e faticoso processo della crescita (l'entrata completa nel principio di realtà), ossia diventare adulto come il padre (cioè senza scorciatoie) per potere godere anch'egli degli stessi privilegi della vita, nonostante i limiti, i compromessi, le difficoltà e l'inevitabile prospetto dello sfacelo, del deterioramento, di una fine.
D'altronde è proprio dal sacrificio della piena soddisfazione pulsionale e narcisistica dell'essere umano che sono nate la civiltà, la cultura, l'arte, la bellezza... che a loro volta possono considerarsi residui simbolici (sottratti al limite del tempo e della morte) di quell'inestirpabile anelito all'infinito e all'eterno (e quindi ancora figli dell'ideale originario), che permette all'uomo di continuare a giocare con le proprie illusioni nonostante la consapevolezza della loro natura illusoria (Winnicott, 1971 [17]), e a ridere delle pene della vita per mezzo dell'ostinata e irriducibile forza dell'umorismo (Freud, 1905 [18] - vedi qui).
"La vita psichica - come la vita - non è che un disordine fecondo. Il narcisismo persegue invano il miraggio di ostacolarlo. Tutto l'erotismo è violenza, così come la vita fa violenza all'inerzia." (Green, 1983, p.172)
Note:
[1]: Greenberg J., Mitchell J. (1983), Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, Il Mulino, Bologna, 1986
[2]: Kohut H. (1987), Seminari. Astrolabio, Roma, 1989.
[3]: Steiner J. (1993), I rifugi della mente. Bollati Boringhieri, Torino, 1996.
[4]: Modell A.H. (1990), Psicoanalisi in un nuovo contesto. Raffaello Cortina, Milano, 1992.
[5]: Dazzi S., Madeddu F. (2006), Devianza e antisocialità. Raffaello Cortina, Milano. 2008.
[6]: Winnicott D. (1958), Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze, 1975.
[7]: Bion W.R., (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970.
[8]: Stern, D. (1985), Il mondo interpersonale del bambino. Bollati Boringhieri, Torino, 1987
[9]: Bion W.R., (1962), Apprendere dall'esperienza, Armando, Roma, 1972.
[10]: Winnicott D. (1965), Sviluppo affettivo e ambiente. Armando, Roma, 1974.
[11]: Spitz R. (1958), Il primo anno di vita del bambino, Giunti-Barbera, Firenze, 1972.
[12]: Fonagy, P. (2001), Psicoanalisi e teoria dell'attaccamento, Raffaello Cortina, Milano, 2002
[13]: Ferenczi S. (1924).Thalassa: una teoria della genitalità. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
[14]: Rank, O. (1924). Il trauma della nascita. SugarCo Ed., Milano, 1990.
[15]: Loewald H. (1988), La sublimazione. Torino, Boringhieri, 1990.
[16]: Federn P. (1952), Psicosi e psicologia dell'Io. Torino, Boringhieri, 1976.
[17]: Winnicott D. (1971), Gioco e realtà. Armando, Roma, 1973.
[18]: Freud S. (1905), Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio. Opere Vol. 5, Boringhieri, Torino, 1967 – 1980
Riferimenti bibliografici:
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Suggerimenti filmografici:
L'angelo azzurro (1930), di J. von Sternberg
Quarto Potere (1941), di O. Welles
Il posto delle fragole, di I. Bergman (1957)
Persona, di I. Bergman (1966)
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di E. Petri
Il grande Gatsby (1974), di G. Clayton
Il Casanova di Federico Fellini, di F. Fellini (1976)
All that Jazz (1979), di B. Fosse (vedi una mia analisi del film)
Oblomov (1980), di N. Michalkov
La città delle donne, di F. Fellini (1980)
Re per una notte (1982), di M. Scorsese
Valmont (1989), di M. Forman
Un cuore in inverno (1992), di C. Sautet
Il danno, di L. Malle (1992)
American Psycho (2000), di M. Harron
L'avversario (2002), di N. Garcia
The Wolf of Wall Street, di M. Scorsese (2013)
Lei, di S. Jonze (2013)
Il filo nascosto (2017), di P. Anderson (vedi una mia analisi del film)
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