1/2) Sull'enigma della donna: psicosessualità, destini della femminilità, precisazioni teoriche.
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"Il Diavolo prende il volo quando la donna gli mostra la sua vulva" (Freud, 1922, p. 416)
Fin dagli albori dei tempi la donna ha sempre rappresentato per l'uomo un enigma perturbante, un profondo mistero sempre dotato di una certa potenza (in quanto incomprensibile e quindi non controllabile), costituendo di conseguenza il fulcro di ricerche, speculazioni, indagini da parte di correnti psicologiche, filosofiche, religiose, sociologiche, antropologiche, politiche. Infatti, in ogni tempo e cultura, il principio femminile è sempre stato caratterizzato da un carattere ambiguo e oscuro, data la sua intima associazione con l'ignoto, l'Eros, la morte, la stregoneria, il sacro, il mondo degli spiriti e l'aldilà (Harding, 1971)... avendo cioè sempre rappresentato un "mediatore privilegiato delle conoscenze primarie del mistero della natura e dell'esistenza" (Magli, 1974, p. 72). Tuttavia tale atteggiamento in fondo non stupisce oltremodo, se si considera il fatto che di per sè la femminilità rimane sempre legata allo stato edenico perduto (per approfondimenti...) e più in generale a "conflitti profondi per ciò che riguarda il rapporto con la prima donna che abbiamo conosciuto, nostra madre, e la nostra identificazione con lei, quale che sia il nostro sesso" (Chasseguet-Smirgel, 1986, p. 14).
E anche la psicoanalisi non ha mancato di sostenere in modo dogmatico stravaganti asserzioni sulla concezione della donna (dimostrando spesso pregiudizi personali e culturali piuttosto che un atteggiamento genuinamente orientato analiticamente). Non a caso lo stesso Freud (1932) definiva la donna come il "continente nero" della psicoanalisi, esprimendo più volte il grado di incompletezza delle esplorazioni teoriche nei suoi scritti e la parzialità dei risultati ottenuti sino a quel momento: "Se volete sapere di più attorno alla femminilità, interrogate la vostra esperienza, o rivolgetevi ai poeti, oppure attendete che la scienza possa darvi ragguagli meglio approfonditi e più coerenti" (1931, p. 533). Sembra infatti che nemmeno Freud (figlio di un contesto storico e culturale specificatamente positivista e patriarcale), sia stato risparmiato da certe macchie cieche inerenti al materno, nel corso delle sue teorizzazioni intorno al tema (Atwood, Stolorow, 1993 [2]; Lopez, 1999 [4]; Gay, 1988 [5]; McDougall, 1995). D'altronde giova ricordare che fu proprio grazie alle donne che Freud potè costruire le sue prime intuizione psicoanalitiche: la stessa intensa "passione per l'ignoto, l'inconscio, fa pensare alla compenetrazione con il corpo materno, e all'isteria come linguaggio enigmatico, linguaggio del corpo [femminile]" (Cosnier, 1987, p. 29)
"Forse la donna è sempre stata un problema per l'uomo, ma mai come oggi è stata tanto 'problema' a se stessa. Della donna si parla, si discute, si scrive in tutti i campi, a tutti i livelli, dai giornali ai convegni politici, dai saggi alle interviste, ai libri di scienza; il discorso sulla donna appare, anzi, oggi, in un certo senso già logoro, perchè tutte le strade su cui si è impostato il problema tendono ad esaurirlo con soluzioni troppo univoche o radicali." (Magli, 1974, p. 3)
Indice
(Prima parte) - Premesse teoriche - Sviluppo psicosessuale - Invidia del pene, invidia del fallo - Lo spostamento narcisistico verso il padre - Il bambino dal padre e l'investimento libidico verso di lui - Il tramonto edipico e la graduale integrazione psicosessuale - La pubertà e la scoperta corporea della femminilità - "Destini" della femminilità in età adulta - Precisazioni: passività, frigidità, masochismo, depressione, morale, dipendenza
Per leggere la seconda parte: 2/2) Sull'enigma della donna: maternità, neuroscienze, mitologia, folclòre, aspetti socioculturali.
Premesse teoriche
A scanso di equivoci, per intraprendere l'esplorazione di tale ampio tema, occorre fare alcune premesse e precisazioni.
Considerando l'intera storia sessuale delle forme viventi, per ragioni evoluzionistiche, nell'homo (e nella maggior parte degli animali omeotermi) la sessualità è arrivata a specializzarsi in una differenziazione di due soli sessi da un punto di vista biologico, anatomico e fisiologico (Wickler, Seibt, 1983). Diventa legittimo dunque presupporne una corrispondenza anche su un piano psichico, al di là delle diverse manifestazioni culturali che definiscono cosa sia maschile e cosa femminile in una data società (Butler, 1999 [10]), come d'altronde si riscontra attraverso la letteratura antropologica, mitologica, filogenetica. Così, in linea teorica, si può parlare di principio maschile (mascolinità) e di principio femminile (femminilità), che ovviamente non si presentano mai in forma pura ed esclusiva nell'uomo e nella donna, nè dal punto di vista biologico nè da quello psicologico (già Freud sottolineava come sia un errore far equivalere la femminilità alla sola donna e la mascolinità solo all’uomo).
Benchè "l'identità nucleare di genere" si stabilisca a partire da un'età molto precoce, intorno ai 15-18 mesi di vita (Stoller, 1968 [10]), la psicoanalisi ha mostrato come psicologicamente non si nasca come uomo o donna, in quanto femminilità e mascolinità rimangono due aspetti complementari di una vita psichica sempre inevitabilmente bisessuale nell’uomo e nella donna. In altre parole, i due sessi, per quanto caratterizzati dalla differenza, restano comunque soggetti "misti", in cui mascolinità e femminilità sono sempre amalgamati in diversa misura: "Non si tratta dunque soltanto di ammettere che ogni individuo, uomo o donna, è nello stesso tempo uomo e donna, ogni volta le due cose, ma di stabilire in quale misura ciascuno abbia 'solo un pò più l'uno o l'altra' (Freud, 1932, p. 221, in Chabert, 2003, p. 121). Ecco perchè Freud ha sempre preferito parlare di psicosessualità, ossia considerando sempre l'intima relazione tra il biologico e lo psicologico (corpo e mente), in cui, accanto alle influenze ambientali e culturali, mascolinità e femminilità necessiteranno di venire integrate nel corso di un lungo sviluppo, per l'appunto, psicosessuale.
Infine, nonostante la differenziazione sessuale sia già nota precedentemente al bambino, è con l'entrata alla fase edipica che il riconoscimento delle differenze tra i sessi raggiunge l'impatto psicologico più significativo, costringendo il bambino ad accettare, non senza dolore e sacrificio, l'impossibilità di appartenere ad entrambi i generi e di possedere entrambi i genitori (e quindi di orientarsi contemporaneamente in modo eterosessuale o omosessuale). Tuttavia, benchè il bambino si scontri così inevitabilmente con il proprio destino corporeo monosessuale, invidiando ciò che gli manca e che invece è posseduto dall'altro sesso (fatto che costituisce una delle più profonde ferite narcisistiche dell'infanzia), dal punto di vista psichico, tale bisessualità continuerà a permanere nella psiche dell'adulto. D'altronde, il dilemma dell'umano non consiste altro che in questo: voler essere tutto in modo onnipotente in una realtà definita da un corpo mortale e limitato (per approfondimenti...); ambizione che troverà il suo compromesso nella creatività (per approfondimenti...) e nell'amplesso genitale (dove psiche e soma ritornano temporaneamente fusi).
La scoperta da parte del bambino della differenza tra i sessi ha un corrispettivo, quanto a traumaticità, nella precoce scoperta dell'alterità e nella successiva rivelazione dell'inevitabilità della morte. Alcuni individui non riescono a venire a capo di questi traumi universali, e tutti noi tentiamo di relegarli, in maggiore o minor misura, nei più profondi recessi della mente, là dove siamo perfettamente liberi di essere onnipotenti, bisessuali e immortali!" (McDougall, 1995, p. 7)
Sviluppo psicosessuale
Secondo la maggior parte degli autori, l'evoluzione del maschio e della femmina è quasi identica fino alla fase fallica (le fasi orali e anali sono praticamente sovrapponibili nei due sessi), nonostante vi siano tempi, capacità e atteggiamenti già distinti nella bambina rispetto al bambino, a causa della diversa pressione ormonale a cui i sessi sono sottoposti fin dalla nascita (Brizendine, 2006).
Nonostante la fase preedipica nella bambina duri più a lungo rispetto al bambino (per il suo attaccamento identificatorio con la madre), per entrambi i sessi la madre è l'oggetto d'amore esclusivo e ha caratteristiche idealizzate e onnipotenti, essendo "capace di tutto e dotata di tutti gli attributi di valore" (M. Brunswick, 1940). Ossia, in altre parole, entrambi i sessi nelle prime fasi si identificano primariamente con la madre idealizzata che soddisfa i loro bisogni in modo onnipotente, rimanendo l'oggetto su cui ricade ogni investimento libidico.
"L'omosessualità primaria della bambina la spinge a desiderare di possedere sessualmente la madre, di penetrare la sua vagina, di 'arrampicarsi dentro di le', di 'mangiarla per incorporare completamente il suo corpo, con tutti poteri magici di cui è dotato. La piccola vuole essere anche penetrata dalla madre, vuole fare un bambino con lei, e diventare così il suo unico oggetto d'amore, escludendo il padre." (McDougall, 1995, p. 4)
Invidia del pene, invidia del fallo
Anche con l'accesso della fase fallica, la madre rimane l'oggetto d'amore principale verso cui la bambina ha un atteggiamento attivo e possessivo (il padre è rivale e la zona erogena preminente è il clitoride): infatti tale fase si chiama fallica proprio perchè è il fallo (incarnato dal pene e dal clitoride) ad essere il protagonista assoluto della scena psichica per entrambi i sessi, segnando un punto cruciale dello sviluppo in due direzioni diverse nel bambino e nella bambina. Se infatti il primo continua ad investire sul pene come "garanzia di una riunione con l'oggetto amato" (Mitchell, 1974, p.121), la bambina si scontra con una sorta di "tragedia biologica" (Alizade, 2006), pensando che non l'ha ottenuto, l'ha perso, o che le crescerà più tardi (significazione anatomica). E' l'inizio cioè di una fase di invidia del pene: la sensazione di essere mancante di qualche cosa e l'impossibilità di disconfermare tale fantasia, fa sì che la bambina possa avvertire il proprio sesso come una specie di ferita (e le mestruazioni osservate nella madre ne diventano la prova schiacciante secondo l'associazione che lega emorragia e ferita).
Infatti, nonostante le controversie sul tema (Horney, 1967; Thompson, 1942; Klein, 1932; Jones, 1927), che sia onnipresente o che possa avere una natura anche difensiva (Chasseguet-Smirgel 1964; Luquet-Parat 1964; McDougall, 1995), di fatto l'invidia del pene nella bambina affonda le sue radici nelle pulsioni esibizionistiche e voyeuristiche tipiche di questa fase: il carattere nascosto dei propri genitali rispetto al maschio, lo scarso afflusso di sangue e l'assenza di secrezioni, le differenze osservate rispetto alla minzione, le limitate possibilità di stimolazioni erogene durante le varie esperienze di igiene e di gioco, forniscono alla bambina una scarsa rappresentabilità della propria vagina. Anche le prime esperienze masturbatorie sembrerebbero dare alla bambina solo vaghe sensazioni cenestesiche (Kestenberg, 1968 [6]), spesso confuse con gli organi interni del corpo (lo stomaco l'intestino) o con le zone confinanti (l'ano). Tutto ciò non consentirebbe alla bambina di costruire uno schema psichico ben definito del proprio corpo, con confini ben delimitati e con un'integrità sempre verificabile (come accade nel bambino): ella infatti potrà ottenere una piena "conferma" corporea della propria identità femminile solo con la pubertà. Ecco perchè Freud (1924) affermava che "l'anatomia è un destino", in quanto è sempre con l'osservabile (il pene), che la bambina si confronta continuamente, traendo le proprie conclusioni (castrato/non castrato): "la bambina galleggia nelle tenebre della propria anatomia genitale interna". (Bleichmar, 1994, p. 60)
"Anche se si pensa che le pulsioni femminili siano all'opera sin dall'inizio e che la bambina possieda un organo adeguato, di cui ha una più o meno chiara coscienza, resta non di meno vero che, sul piano narcisistico, la bambina si vive in misura variabile come dolorosamente incompleta." (Chasseguet-Smirgel, 1964, p. 182)
Ma perchè il fallo acquista una tale importanza psichica nel bambino/a?
Per due motivi: quello libidico, perchè il fallo rappresenta l'organo per mezzo del quale è possibile possedere attivamente la madre (e quindi realizzare il desiderio, da parte di entrambi i sessi, di ricongiungersi con lei - non a caso il fallo in mitologia è il simbolo della fertilità, della completezza e del desiderio sessuale); quello narcisistico, perchè permette di differenziare, separare, individuare la propria identità da quella della madre. Infatti, come ricorda la clinica delle perversioni (per approfondimenti...), il fallo costituisce la garanzia e la costante rassicurazione contro la minaccia dell'incorporazione e della fusione indistinta col materno (e quindi contro la perdita dell'Io). Una corrispondenza biologica sulla necessità di differenziazione dalla madre si trova anche dal fatto che "dal punto di vista embriologico il pene è una clitoride mascolinizzata; il fatto neurofisiologico è che il cervello maschile è un cervello femminile androgenizzato [cosa che accade a partire dall'ottava settimana del feto]" (Stoller, 1972).
Dunque nella bambina il momento del riconoscimento psichico di tale mancanza "si fonda sull'alterazione, sull'inversione della valorizzazione del suo genere, che da idealizzato e pieno perviene ad una condizione di inferiorità e di carenza" (Bleichmar, 1994, p. 90). Il padre diviene così colui che può riparare il suo narcisismo ferito (trionfo sulla madre preedipica onnipotente), e il pene (oggetto parziale) viene a costituire quindi il simbolo (il fallo) di potenza, autonomia, integrità, atto "contrastare il potere materno" (Chasseguet-Smirgel, 1962, p. 189). Dunque "il padre non è potente solo perchè ha il pene, ma perchè (con il suo pene) simboleggia la libertà dalla dipendenza dalla madre potente della prima infanzia" (Benjamin, 1988, p. 95). L'individuazione o la fusione indistinta "vengono ora organizzati all'interno della struttura di genere" (Benjamin, 1988, p. 103), in cui "la sua diversità [del padre] è simboleggiata e garantita dai suoi genitali diversi" (ibid., p. 107)
Il futuro sentimento d'inferiorità della donna rispetto all'uomo (mancanza del fallo) si può inscrivere proprio a partire da questo iniziale collasso narcisistico, derivante sia dal tramonto della madre ideale onnipotente con cui la bambina si era identificata, sia dalla frustrazione libidica nel potersi riunire con lei (a causa della mancanza del pene). Ed è dunque su questa base ontogenetica (in cui viene perduto l'ideale femminile) che la bambina avrà d'ora in poi la possibilità di compensare e integrare il proprio maschile mancante o, a seconda delle dinamiche famigliari e socioculturali, perseverare un'immagine svalutata del proprio genere (e continuare ad invidiare il fallo, sentendosi inferiore rispetto all'uomo).
"La svalorizzazione della madre, che accompagna inevitabilmente l'idealizzazione del padre, dà al ruolo di liberatore del padre un'implicazione particolare per le donne. Significa che la loro necessaria identificazione con le madri, con la femminilità esistente, sconvolgerà la loro lotta per l'indipendenza." (Benjamin, 1988, p. 102)

Lo spostamento narcisistico verso il padre
Dunque l'insufficienza del proprio organo fallico (castrato), che non le potrà crescere (come ad esempio accade osservando lo sviluppo fisico del fratellino), obbliga la bambina, "non senza dolore o protesta" (Mitchell, 1974) a seguire un'altra via: rivolgersi al padre per compensare il proprio narcisismo ferito e le proprie soddisfazioni libidiche (ed ecco perchè dietro all'amore dietro il padre si nasconde sempre l'intenso amore originario verso la madre).
Così, le spinte attive della pulsione vengono sottoposte a rimozione perchè "si sono dimostrate assolutamente irrealizzabili" (Freud, 1931, p.36), e perchè sono cariche di intensi moti aggressivi nei confronti della madre (che non le ha donato il pene o che gliel'ha strappato in precedenza). Il senso di colpa (Deutsch, 1944, Bonaparte, 1957) dunque rovescia nella direzione opposta gli organi a meta attiva (solitamente identificate con il seno, le feci, il clitoride), in organi a meta passiva (la bocca, l'ano, la vagina), con l'unico intento d'impossessarsi del grande pene paterno. E' in questo momento che la vagina (anzi, sarebbe più corretto chiamarla "cloaca", in quanto, come si diceva in precedenza, nell'immaginario della bambina essa resta ancora solo un orifizio misterioso, abbastanza indifferenziato con il clitoride e l'apparato urinario), inizia a diventare la zona su cui si spostano le precedenti caratteristiche ricettive della bocca e dell'ano (quindi miranti a ricevere, trattenere, prendere dentro di sè, contenere, espellere), corrispondenti alla fase orale e anale (Jones, 1927). Tale cambiamento è stato osservato anche nel mutamento del modo di giocare della bambina (rispetto al bambino), a cominciare da come ella sperimenta e proietta la "topografia del corpo umano" sullo spazio circostante di gioco (Erikson, 1964, p. 273 [3]).
Inoltre la spinta all'incorporazione del pene paterno (il desiderio carico d'aggressività di strapparlo al padre) o la volontà di rubarlo alla madre per contrastarne l'onnipotenza (Klein, 1932), per il fatto che il padre è l'unico oggetto d'amore "rimasto" dopo la delusione materna, per il timore di ripercussioni da parte della madre secondo la "legge del taglione", e soprattutto per l'intensa paura di subire lesioni all'interno del proprio corpo nel caso i propri desideri venissero soddisfatti (il coito fantasticato col padre), portano tali moti aggressivi a soggiacere a rimozione (e con essi l'invidia del pene) e a rovesciarsi difensivamente in desideri masochistici (cosa che nella donna adulta si può ancora rintracciare nelle fantasie di stupro o di essere violentata [Freud, 1919]). Ecco perchè l'angoscia di castrazione riguarda paure e fantasie relative a parti del corpo perdute, danneggiate o mancanti, e, su un piano simbolico, "per l'inconscio, ogni ferita narcisistica rappresenta a tutti i livelli, un equivalente della castrazione, in funzione del valore narcisistico attribuito dai due sessi al pene, appare allora evidente che anche le donne, come gli uomini, non smettano mai di temere la castrazione, perchè sempre possono perdere qualcosa che ha un significato fallico, anche se il pene è già stato 'perduto'" (Chasseguet-Smirgel, 1962, p. 190).
Tali angosce sono inoltre alimentate dalle varie fantasie relative alla scena primaria (il rapporto sessuale tra i genitori), che, oltre alle tipiche fantasie falliche inerenti alla paura di essere distrutti o di distruggere il partner, possono presentarsi "sotto forma di fantasie erotico-orali e di divorazione, di rapporti erotico-anali e sadico-anali, di confusioni bisessuali, di fantasie arcaiche di vampirizzazione, o come timore di perdere il proprio senso d'identità o la capacità di rappresentarsi i propri limiti corporei" (McDougall, 1995, p. 8). Sono paure che nella clinica dell'adulto si possono riscontrare in "delinquenti che irrompono sfondando finestre o porte; uomini col fucile che minacciano di sparare; animali che strisciano, volano o s'infilano da qualche parte (serpenti, topi, falene); animali o donne ferite con coltelli; treni che entrano in una stazione o in un tunnel" (Horney, 1967, p. 177).
Chiaro che il livello d'angoscia rispetto al pene paterno (e quindi la carica aggressiva rimossa nei suoi confronti) dipende in larga misura da quanto in precedenza la madre ha rappresentato per la bambina una potenza onnipotente, invadente e destrutturante (madre fallica). Il pene diventa cioè il nuovo bersaglio dell'ambivalenza originaria verso la madre preedipica: idealizzato e dotato di una "potenza senza limiti, sia in bene che in male, che garantisce, a chi lo possiede, sicurezza e libertà assolute, immunità dall'angoscia e dalla colpa, possibilità di godimento, amore e attuazione di ogni desiderio" (Torok, p. 222). Ma proprio per questa potenza fallica smisurata, esso può assumere altrettante caratteristiche minacciose e pericolose (e saranno solo la tenerezza e l'affetto usate dal partner durante la deflorazione nel primo rapporto sessuale, a disconfermare tali fantasie nella ragazza, che potrà così abbandonarsi senza pericoli al piacere della propria femminilità).
Il bambino dal padre e l'interesse libidico verso di lui
A questo punto, la soluzione di compromesso a tali angosce e all'impossibilità di avere il pene, segue l'equazione simbolica del linguaggio che la bambina conosce a quell'età (quello dell'inconscio), che fa equivalere il pene alla possibilità di avere bambino dentro il proprio grembo (così come nella fase anale le feci erano dentro la pancia, il latte dentro la bocca), completando la catena associativa capezzolo/latte/bocca-pene/seme/bambino. Già Freud (1905) infatti aveva osservato come i bambini di entrambi i sessi, ancor prima del problema sulla diversità sessuale, fantasticassero sul generare figli o donare figli ai genitori, spinti dall'enigma sulla provenienza dei bambini. Ecco quindi che alla fine della catena associativa, secondo la celebre espressione, il figlio diventa il "fallo mancante della madre" (Lacan, 1956), e la maternità, per il suo inestimabile valore simbolico, diverrà così nella donna adulta un imperativo psichico che affonda le sue radici sul piano biologico esclusivo del femminile.
"Quando il bambino attribuisce il pene al padre e alla madre, o quando attribuisce il pene anche alla bambina, quando immagina che esista un unico genitale, il fallo maschile, oppure che la madre contenga dentro di sè anche il fallo paterno, il bambino non vive alcuna contraddizione tra tutte queste situazioni. Nè avverte alcuna contraddizione quando nelle sue fantasie confonde i rapporti sessuali con l'aggressione oppure si identifica con il padre e con la madre per mettere al mondo se stesso, così come non avverte contraddizione quando nella sua mente il pene, il senso, la vagina e la bocca, la vagina e l'ano, l'ano e l'orecchio si sostituiscono l'un l'altro e così via. Ciò s'incontra con il fatto che l'aspetto più importante della scoperta freudiana della sessualità infantile è quello relativo al fatto che essa è soprattutto espressione di un linguaggio simbolico, che alimenta tutte le strutture dell'immaginario." (Fornari, 1976, p. 163)

Dunque la bambina, diventando la rivale edipica della madre nella lotta per la conquista del padre-uomo, "vorrà essere non solo una 'mamma' come sua madre, ma anche moglie del suo 'papi come lo è la 'mami', non accontentandosi più di essere semplicemente la bimba di 'mami' e 'papi': vorrà essere 'la mami dei bambini del suo papi'" (Bleichmar, 1994. p. 92). In altre parole, la bambina non vuole più essere come il padre (e avere anche lei il pene), ma desidera avere il padre, orientandosi quindi verso "l'amore eterosessuale, amore di ciò che è diverso" (Benjamin, 1988, p. 109). E la madre, pur essendo rivale, rimane tuttavia il modello a disposizione della bambina per poter far breccia nel desiderio del padre: "è fenomeno comune che le bambine odino la madre per poter essere l'unico oggetto d'amore del padre, ma cerchino al tempo stesso d'identificarsi con la madre e di rassomigliarle, proprio allo scopo di conquistarsi l'affetto paterno" (Deutsch, 1944, p. 285).
E dato che la bambina ha bisogno di sentire la sua femminilità valorizzata dal padre come quella della madre (sua moglie), ella impara ben presto "l'arte della seduzione" (ossia cerca d'inseguire ciò che desidera il padre dalla donna), per assicurarsi così di essere anche lei desiderata, amata e "scelta" (e per la vaghezza del proprio sesso, è l'intero corpo a venire erotizzato nel contatto fisico col padre): "la bambina scopre molto presto l'ammirazione e i privilegi che le derivano dal possedere o amministrare la sua bellezza (...) [capendo che] quanto più si è belle, tanto più si è apprezzate, amate, desiderate" (Bleichmar, 1994, p. 91). Di fatto, se la donna è stata spesso accusata di maggiori bisogni narcisistici (attenzione, dimostrazioni d'amore, corteggiamenti...) e di una maggiore vanità attraverso il culto della propria della bellezza, è dovuto anche al fatto che in questa fase, l'essere amata possiede a livello inconscio il significato simbolico dell'ottenimento del fallo/bambino (e quindi il corpo diviene rappresentazione fallica del potere narcisistico e libidico).
"[Il corso dell'amore] ha inizio, esattamente come accade negli uomini, con fantasie di regresso alla prima fase di dipendenza alla madre che dà al figlio calore, protezione, rifugio e alimento. L'inconscia fantasia della donna in tal modo regredisce al regno dei desideri iniziali: essere stretti e abbracciati, cullati, protetti. In tali fantasie, la donna torna all'infanzia. In seguito l'uomo assume, nelle fantasie femminili, il ruolo un tempo svolto dalla madre, primo oggetto d'amore. Più tardi ancora, l'eterno desiderio di essere 'curata dalla madre' è sostituito da quello di assumere il ruolo della madre e diventare madre a sua volta; per un fatto d'identificazione, la donna ora vuole avere un figlio, pre