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Viaggio attorno alla psicopatia: psicodinamica, eziopatogenesi, antisocialità, sulla malvagità.

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Viaggio attorno alla psicopatia
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Non è un paese per vecchi (2007), di J. e E. Cohen
"Non c'è niente di più facile che condannare un malvagio, niente di più difficile che capirlo." F. Dostoevskij

Indice


- Descrizione psicologica - Psicopatia e perversione: il serial killer sessuale - Eziopatogenesi - Aspetti forensi, socioculturali, terapeutici - Il problema del male: siamo tutti potenziali assassini? - Bibliografia / Filmografia

Se la letteratura e il cinema di tipo crime, a partire dalle sue origini noir (per approfondimenti...), continuano ad esercitare una costante attrazione magnetica sul pubblico, deriva dal fatto che da sempre l'uomo manifesta una profonda curiosità sulla natura del male, a partire da quello che alberga dentro di sè. Già Freud (1915) infatti scriveva come dinanzi all'opera d'arte, lo spettatore fosse in grado di toccare i lati più oscuri di sè stesso identificandosi coi vari personaggi, e potere quindi vivere le medesime esperienze e sensazioni, ma al riparo dietro un mondo di finzione: "là troviamo ancora uomini che sanno morire; sì, uomini anche capaci di uccidere. (…) Nel campo della finzione troviamo quella pluralità di vite di cui abbiamo bisogno." (p. 38) In altri termini, la possibilità di venire a contatto con le storie tanto macabre e truci della cronaca nera o del mondo dell'arte permette di confrontarsi a debita distanza e senza ripercussioni nella realtà con le forze distruttive e violente che, in diversa misura, popolano la psiche di ogni uomo.

D'altronde, la figura del serial killer depravato che compie i delitti più efferati e violenti a sangue freddo, rimane ancora uno degli archetipi che più affascina l'immaginario collettivo, proprio per il fatto di possedere caratteristiche apparentemente aliene alla cosiddetta natura umana. Infatti, ciò che da un punto di vista clinico risulta curioso è il fatto che la maggior parte dei serial killer non sia affetta da psicosi (o dal controverso disturbo da personalità multipla, oggi tanto di moda al cinema): essi appartengono cioè alla schiera dei cosiddetti psicopatici, gli stessi che vivono in mezzo al resto della gente comune come predatori, parassiti, sfruttatori, mariti violenti, stalker, "colletti bianchi". Perchè la grande capacità di mimetizzarsi che li contraddistingue spiega il fatto che gli psicopatici si trovino in ogni ambito sociale, non soltanto nella popolazione carceraria di assassini e stupratori. Ciò che risulta più sconcertante è infatti la loro apparente "normalità" e correttezza sociale nella vita "diurna" di tutti i giorni: tuttavia, in realtà, come per Mr. Hyde che si cela dietro la maschera ordinaria e quotidiana del Dr. Jeckyll, essi vivono in società come "lupi mascherati" tra le altre pecore (basti pensare a T. Bundy, A. Chikatilo, J.W. Gacy, D. R. Rader...).


"Nelle leggi dell'anglosassone Edoardo il Confessore (1002-1066) si fa riferimento al wulfesheud, la testa di lupo, per indicare colui che veniva espulso dalle mura cittadine perchè reo di fatti imperdonabili e gravissimi. Il banno, cioè l'ordine di espulsione dalla città e la condanna a sopravvivere nelle foreste, errando nottetempo, rapinando e aggredendo, nutrendosi di ciò che capitava, ed esposto in ogni momento al rischio di essere ucciso da chiunque lo avesse scovato, trasformava così il bandito in un loup garou, un lupo mannaro, quella figura per metà umana e per metà ferina che ha alimentato il mito dell'orco pedofago e dell'uomo nero e che incarna il male assoluto nelle fantasie atterrite dei bambini." (G.S. Manzi in AA.VV, 2021, prefazione)



Descrizione psicologica


"Uccidere o essere ucciso, mangiare o essere mangiato, era la legge." (J. London)


Se già Pinel (1801 [1]) aveva osservato una forma di "mania senza delirio", e Pritchard (1835 [2]) di "follia morale", fu solo con Kraepelin (1904 [3]) che si iniziò a parlare di "personalità psicopatica" e con Birnbaum (1914 [4]) di "sociopatia". Mentre le prime analisi psicoanalitiche del carattere psicopatico sono state compiute dal lavoro pionieristico di Aichorn (1925), e poco dopo da quello di Alexander e Staub (1929) che cercarono di delineare le varie forme della psicopatia in relazione al sistema giuridico, gettando le rudimentali fondamenta dell'odierna criminologia. Giova ricordare che gli aspetti psicopatici del carattere (i cosiddetti tratti) non corrispondono necessariamente al disturbo antisociale di personalità, così come descritto dal DSM-V (il manuale scientifico maggiormente usato al mondo per la classificazione dei disturbi mentali), in quanto la psicopatia non coincide sempre con la condotta criminale: in realtà solo una parte degli psicopatici finisce in prigione (solitamente quelli più "aggressivi" rispetto a quelli di tipo "passivo-parassitario" [Kernberg, 1992]).

Dunque i tratti psicopatici possono costituire propriamente una "sindrome psicopatica" (McCord, 1964) o una "personalità antisociale" (Kernberg, 1975), oppure possono rappresentare nuclei secondari dei vari disturbi di personalità, lungo un continuum (Kernberg, 1984) dove la psicopatia si configura come il punto più basso dello spettro narcisistico (per approfondimenti...). Le caratteristiche generali della psicopatia sono comunque sempre legate ad un deficit (a volte totale) della coscienza morale (Super-Io), l'assenza di empatia (e quindi di identificazione), l'incapacità di costituire legami affettivi con gli altri (il bisogno di potere prevale su quello dell'attaccamento), un generale discontrollo degli impulsi (non sono infrequenti tossicomanie e perversioni sessuali polimorfe), ideazione paranoidea e un certo grado di perversità caratteriale (per approfondimenti...).


Arancia meccanica (1971), di S. Kubrick

Affetti e relazioni

Forse il tratto che più caratterizza lo psicopatico è la totale assenza di empatia (la capacità di riconoscere ciò che l'altro sta provando e risponderne emotivamente): egli è infatti incapace di mettersi nei panni degli altri, se non in un senso meramente intellettuale, per lo più allo scopo di manipolare e nuocere (in quanto lo psicopatico può essere abilissimo nell'individuare e nello sfruttare le vulnerabilità dell'altro). E non si tratta di una sospensione temporanea dell'empatia (dovuto ad una particolare situazione contingente o sotto l'effetto di sostanze alteranti), nè di quelle sindromi (disturbi dello spettro autistico) che rendono assai difficile per la persona riconoscere e comprendere gli stati interni dell'altro (dove però solitamente le istanze morali rimangono intatte), bensì di un tratto cristallizzato di una configurazione permanente della personalità.


Nello psicopatico le manifestazioni emotive sono perlopiù artificiali, teatrali, superficiali e simulate al bisogno in modo manieristico: Cleckey (1941 [5]) proponeva infatti l'espressione dementia semantica per descrivere le modalità comunicative-linguistiche di questi pazienti che sono in grado di comprendere cosa fare nel modo "corretto" al momento "giusto", ma senza alcuna concordanza emotiva. Gli stati emotivi interni sono caratterizzati principalmente da un senso perenne di vuoto e di noia: l'angoscia percepita è praticamente assente (contrariamente allo psicotico che solitamente presenta confusione e intenso tormento interiore), l'ansia è ridotta ai minimi termini e "l'esperienza conscia della depressione come emozione all'interno del processo psicopatico probabilmente non esiste" (Meloy, 2002, p. 62).

L'aggressività predatoria, ossia quella volta a distruggere l'altro "a sangue freddo" (Meloy, 2002), senza nessuna esperienza emotiva conscia è il "marchio di fabbrica" della psicopatia (Meloy, 2002): contrariamente da quella di tipo difensiva/affettiva (motivata dal pericolo di una minaccia esterna e finalizzata unicamente alla sua risoluzione), essa è per lo più strumentale e non viene perciò inibita, sia per la mancanza di una coscienza morale (in grado di modulare il comportamento aggressivo), sia perchè nello psicopatico la paura come rinforzo negativo è minimo o assente. E anche quando l'aggressività si palesa attraverso manifestazioni di collera, essa tende ad essere di breve durata, conservando quella freddezza di fondo (contrariamente alle manifestazioni causate da accecanti passioni). Tale componente aggressiva, la totale indifferenza al dolore e la mancanza di tenerezza (anche per i suoi famigliari) sembrano fare assumere allo psicopatico degli atteggiamenti più tipicamente "rettiliani" che umani (Meloy, 2002) .


Nell'esercitare il dominio sull'altro, lo psicopatico è dotato di un pensiero macchiavellico: egli inganna per la soddisfazione di vedere compiuta la propria manipolazione sugli altri (Meloy, 2002), utilizzando gli strumenti che più lo caratterizzano (fascinazione, seduttività, intimidazione o violenza), spesso prendendo di mira i membri più vulnerabili della società.

Gli altri probabilmente sono una replica del mondo interno dello psicopatico, ossia una realtà popolata da oggetti potenzialmente pericolosi: ecco perchè per lui il mondo è diviso in predatori e prede, dove l'unico scopo consiste nel trarre il massimo profitto dallo sfruttamento dell'altro, che rappresenta un mero oggetto da usare per il soddisfacimento dei propri bisogni.



Moralità e controllo pulsionale

Le personalità psicopatiche sono incapaci di provare rimorso o anche solo preoccupazione per il dolore provocato all'altro: è infatti assente ogni tentativo di riparazione e il danno delle proprie azioni sugli altri viene sempre razionalizzato in base a regole interne che minimizzano la propria responsabilità fino a capovolgere addirittura il ruolo di vittima e carnefice. Secondo Hare (1993), l'essenza della psicopatia si può ricondurre ad un "disturbo del cervello morale": non a caso storicamente gli psicopatici venivano definiti dalla prima psichiatria "imbecilli morali".


Il conflitto che vivono è solamente tra il cieco soddisfacimento dei loro bisogni e il resto della società, in quanto le più elementari norme del vivere comune rappresentano per lo psicopatico solo delle regole assurde che limitano irragionevolmente l'espressione dei suoi appetiti (ogni ostacolo è fonte di frustrazione insostenibile): "per gli psicopatici, il mondo è come un gigantesco distributore dal quale estrarre caramelle senza mettere le monete" (Simon, 2008. p. 38).

Inoltre lo psicopatico "sembra disposto a sacrificare tutto per l'eccitazione" (McCord, 1964): egli è costantemente alla ricerca di stimoli e votato perennemente all'azione, al fine di ottenere soddisfacimento e piacere immediati. Infatti, salvo casi particolari, lo psicopatico, nonostante sia consapevole delle conseguenze dei suoi atti (conscio quindi dell'entità delle proprie azioni), si dimostra incapace nell'inibire il proprio comportamento, così che irresponsabilità e inaffidabilità si estendono ad ogni ambito di vita.



Sè e meccanismi di difesa

Spesso gli psicopatici appaiono di aspetto gradevole sfoggiando personalità brillanti e loquaci, non di rado mostrandosi spacconi, prepotenti, vanitosi, arroganti, senza il minimo senso di pudore, imbarazzo o vergogna. Essi hanno infatti una visione talmente inflazionata di ciò che sono (Sè grandioso) da considerarsi sempre al centro dell'universo.

Lo psicopatico inoltre è per antonomasia il maestro dell'inganno, della menzogna, della manipolazione e della truffa: anche quando viene smascherato egli rimane indifferente e continua imperterrito a far sentire l'altro nel dubbio o nell'errore, nonostante l'evidenza più schiacciante dei fatti. Pertanto lo psicopatico eccelle nell'assumere personalità fittizie o nel millantare titoli fasulli o beni di poco conto, essendo un abile impostore dotato di una straordinaria versatilità camaleontica che lo fa apparire sempre convincente. Ciononostante, lo psicopatico continua a rappresentare un personaggio bidimensionale, proprio perchè carente di tutta quella ricca complessità data dalle sfumature emotive, conflittuali e identitarie che solitamente caratterizzano le persone.


Nello psicopatico i meccanismi di difesa principali costituiscono un'esagerazione di quelli tipici della costellazione narcisistica di personalità (per approfondimenti...), in particolar modo: il diniego e il controllo onnipotente (che allontana ogni vissuto depressivo o stato di vulnerabilità), la svalutazione (accompagnata dall'euforia sprezzante e dal successo manipolativo che lo protegge dall'invidia latente), la scissione (il mondo diviso in categorie nette), l'identificazione proiettiva (la violenza deve distruggere nell'altro il materiale psichico interno che minaccia il sè grandioso). Inoltre vengono usati in modo consistente anche meccanismi difensivi più primitivi quali la proiezione paranoidea (lo psicopatico è estremamente reattivo alla minima provocazione esterna), e soprattutto la dissociazione: infatti, sebbene l'esame di realtà, per quanto distorto, solitamente venga mantenuto (ossia è intatta la capacità dell'individuo di distinguere stimoli sensoriali interocettivi da quelli esterocettivi), nel soggetto psicopatico si alternano "stati dell'Io" completamente dissociati (Kernberg, 1984).


American Psycho (2000), di M. Harron

Psicopatia e perversione: il serial killer sessuale


"Chi sono i serial killer e perchè la nostra immaginazione è così colpita da quseste terribili figure? Perchè ci fanno paura, certo. Ma anche, e soprattutto, perchè sono la personificazione di quanto c'è ancora di irrazionale, di ferino, di primordiale in noi e nella nostra vita apparentemente logica e ordinata. E' il mostro che aspetta in agguato, è l'orco che si nasconde dietro le nostre esistenze quotidiane, nelle nostre strade, nelle nostre menti, nei nostri cuori". (Lucarelli, Picozzi, 2003)


Diversamente dall'assassino compulsivo che, permeato da idee persecutorie e da aspetti fortemente depressivi, mette in atto le proprie fantasie vendicative contro i suoi "persecutori" (come nel caso di omicidi casuali perpetrati in strada da qualche "maniaco", o di stragi compiute nelle scuole americane da qualche studente armato), l'FBI definisce il serial killer come "colui che commette tre o più omicidi, in tre o più località distinte, intervallate da un periodo di raffreddamento emozionale" (Douglas et al. 1992, p.13 [6]). Forse la massima forma di brutalità disumana si riscontra nella cosiddetta categoria dei serial killer di tipo sessuale, dove la psicopatia si lega con la perversione, e quindi sessualità e distruttività diventano inestricabilmente connesse (per approfondimenti...). Essi sono statisticamente rari, ma l'efferatezza del modo con cui uccidono catalizza inevitabilmente l'attenzione pubblica.

Simon (2008) distingue due tipi di serial killer sessuali (non per forza in maniera dicotomica): i sadici (che cercano il godimento supremo nella tortura e nella morte dell'altro) e i necrofili (che trovano piacere più nello smembrare e nel cannibalismo che nell'uccidere).


I sadici sessuali provocano intenzionalmente dolore fisico e psicologico allo scopo di raggiungere il massimo livello eccitazione sessuale: la vittima deve rimanere vigile e cosciente affinchè l'aguzzino possa vivere appieno la sofferenza inflitta (o il godimento sessuale diviene ridotto o impossibilitato del tutto). Secondo Fromm (1973) l'essenza del sadismo, della tortura e dello stupro trae origine dalla "passione per un controllo illimitato, pseudo-divino su uomini e cose" (p. 211), al fine di sottolineare la grandiosità e l'onnipotenza sull'altro.

Tale aspetto è condiviso anche dai necrofili, ossia quei serial killer che trovano soddisfazione sessuale solo nel momento in cui sentono di avere letteralmente un dominio totale sull'altro, per mezzo di rapporti sessuali con cadaveri (o parti di essi), esplorazione di organi dissezionati (splancofilia) e atti cannibalistici. Nei necrofili gli atti cannibalistici sono compiuti dinamicamente allo scopo di padroneggiare intense angosce orali verso l'altro (tanto bramato quanto dotato di aspetti terrifici): la morte dell'oggetto consentirebbe al necrofilo di appagare i suoi desideri fusionali-incorporativi eliminando allo stesso tempo l'angoscia di venire fagocitato (E. Kemper e G. Dahmer hanno infatti più volte dichiarato che uccidendo e mangiando le loro vittime riuscivano ad impossessarsene per sempre). Anche lo smembramento delle vittime che spesso accompagna la necrofilia si connette con tale psicodinamica, in quanto la persona nella sua totalità vivente (minacciosa) viene letteralmente smontata e parcellizzata in singole parti adibite al soddisfacimento personale (Meltzer, 1973), come feticci su cui può essere esercitato un godimento onnipotente e un trionfo sulle proprie angosce.


Essi sono ossessionati e tormentati da fantasie barocche che finiscono per materializzare concretamente sulle proprie vittime al fine di ottenere la gratificazione immaginata: già da bambini l'immaginario fantastico di alcuni futuri serial killer costituiva un particolare "rifugio della mente" (Steiner, 1993) permeato prevalentemente da contenuti violenti ed elementi mortiferi (come in G. Dahmer). Tuttavia, una volta messo in atto, l'omicidio può produrre nel killer una gratificazione talmente intensa da divenire fonte di una ricerca compulsiva che, con il passare del tempo, può richiedere variazioni operative al fine di conservare la medesima intensità del piacere originario. Infatti, attraverso i propri atti omicidi, lo psicopatico sessuale sperimenta ogni volta una sorta di estasi che lo rende dipendente da essa, al pari di un tossicomane in cerca di dosi sempre più forti e frequenti.

Molto spesso il serial killer porta con sè dalla scena del crimine dei "souvenir" che, come dei feticci intrisi di caratteristiche simboliche (Khan, 1979), gli consentono di rivivere nella propria fantasia il crimine commesso (facendogli quindi sperimentare nuovamente l'eccitazione di quegli istanti).

Siamo dunque ben lontani dalle motivazioni nevrotiche dei "delinquenti per senso di colpa" suggerite da Freud (1916) che commettono crimini mirati all'autopunizione: il più delle volte tali serial killers sono infatti organizzati, ossia pianificano nel dettaglio i loro omicidi per mettere in atto un rituale privato (la cosiddetta "firma" del serial killer), cioè un insieme di azioni e di elementi ricorrenti carichi di significati ben precisi nel loro mondo fantasmatico.


Oltre all'eliminazione di qualunque riflesso empatico, il serial killer ha sempre bisogno di disumanizzare la propria vittima al fine di proiettarne i suoi tratti rinnegati e inaccettabili: egli, inconsciamente disgustato da sè stesso, fa assumere all'altro le caratteristiche di parti intollerabili e soverchianti di sè, per poi, solo temporaneamente, distruggerle (e non a caso le sue vittime sono spesso persone socialmente fragili, vulnerabili, ingenue, deboli psicologicamente). Perchè "i predatori sono inconsciamente spaventati di essere le vittime della predazione a causa del ciclo proiettivo e introiettivo del proprio materiale sadico e aggressivo" (Meloy, 2002, p. 165), così come "il grado di atrocità della violenza agita sulla vittima tradisce l'intensità dell'affetto dissociato" (ibid., p. 60). Ogni omicidio della vittima (sulla quale agisce l'identificazione proiettiva delle parti del sè che sono state dissociate) è finalizzato a rafforzare i sentimenti di onnipotenza del serial killer (Horney, 1945), il quale, a volte, rende addirittura spettatrice la società stessa dei suoi atti violenti e brutali, al fine di attirare ulteriormente l'attenzione sulla grandiosità del proprio sè (come nei casi irrisolti di Zodiac o di Jack lo Squartatore).

A volte stati psicotici (supportati prevalentemente da deliri paranoidei o da accessi maniacali) vengono "impiegati" regressivamente per facilitare e amplificare gli impulsi sadici e violenti (si pensi a R.T. Chase): cosicché l'atto predatorio diviene una modalità per eliminare angosce annichilenti (psicotiche) provenienti da oggetti persecutori interni e la mania (spesso ricercata attraverso droghe psicostimolanti) un trionfo su di essi (Balier, 1996). .


Il mondo dell'assassino seriale è tutto, però fuorchè un mondo meraviglioso, e forse non è neppure misterioso. Rapito dal suo bisogno di sentirsi dio in un mondo di oggetti inanimati da plasmare secondo i propri perversi bisogni generati all'interno di relazioni traumatiche nell'infanzia, è obbligato, in una costante coazione a ripetere, a ingannare se stesso rimettendo in scena i propri traumi per sentire di padroneggiarli. La sua onnipotenza è un mero bluff di fronte alla miseria del suo mondo interno, alla sua incapacità di provare amore ed empatia, alla sua impossibilità di essere un essere umano in mezzo agli altri esseri umani." (AA.VV. 2021, p. 117)



Eziopatogenesi


Negli psicopatici si sono osservate alcune anomalie biologiche: l'intero circuito cerebrale della modulazione dell'empatia (un'interconnessione complessa che coinvolge dieci centri nel cervello) risulta compromesso (Baron-Cohen, 2011), con una ridotta attività dei neuroni specchio (ad esempio si è riscontrata una bassa reattività quando lo psicopatico guarda persone in difficoltà o scene violente che mostrano la sofferenza altrui). Inoltre registrazioni biomediche (Raine, Glenn, 2014) hanno evidenziato ridotte risposte autonomiche associate alla paura e all'ansia (ad esempio dinanzi a minacce ed eventi aversivi); test sul linguaggio hanno mostrato come gli psicopatici siano privi di alcune delle componenti affettive proprie del linguaggio e di come abbiano difficoltà a tradurre in parole le emozioni (considerate mere astrazioni concettuali); ricerche di neuroimaging (Raine, Glenn, 2014) hanno mostrato anomalie da parte della corteccia orbitofrontale e dell'amigdala, accompagnate da disregolazioni ormonali (alti livelli di testosterone a scapito di bassi livelli di cortisolo).

Tuttavia si ricorda come sia un grossolano errore confondere la biologia con l'ereditarietà genetica, in quanto non si può sapere se tali anomalie biologiche siano innate o frutto dell'influenza ambientale nei primi anni di vita, dato che l'ambiente è in grado di influenzare i sistemi biologici nella struttura e nel funzionamento a partire dalla vita fetale dell'ambiente uterino. Ad esempio si è osservato come esperienze precoci altamente traumatiche ripetute nel tempo possano influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa, contribuendo ad innescare tratti psicopatici e comportamenti antisociali (Meloy, 2002).


Già Winnicott (1956) aveva evidenziato la presenza di importanti "deprivazioni" ambientali e affettive all'origine del comportamento antisociale nel bambino e il carattere fondamentalme