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Se Dio è morto, è stato perché era troppo in buona salute. (Hillman, 1991, p. 98)
La psicologia usa il linguaggio in funzione apotropaica, cioè per nascondere l'angoscia di fondo data dal fatto che in realtà non sappiamo niente della psiche. Abbiamo sviluppato sistemi che scacciano i demoni o scacciano l'ignoto, ma è la psiche a rimanere ignota. Jung ribadisce più volte che quasi non sappiamo di che costa stiamo parlando. (Hillman, 2013, p. 24)
Nell'epoca contemporanea dove tutto deve poter essere controllato in modo onnipotente per poter essere sfruttato al meglio e senza limiti (per approfondimenti...), è chiaro che deve spaventare oltremodo ciò che non si domina mediante il semplice uso della volontà e della ragione. A quanto pare, Freud aveva proprio ragione quando oramai più di un secolo fa testimoniava quanto fosse difficile per l'uomo accettare di non essere "padrone a casa propria": ancora oggi all'Io continua ad essere attribuito un potere che non possiede. Infatti James Hillman (1975) ha osservato come benché questo tempo sia radicalmente ateo e profano, esso sia altrettanto dominato da una religione monoteistica fondata su un culto della coscienza che nega fanaticamente l'esistenza della dimensione inconscia della psiche. La psicoterapia cognitivo-comportamentale o le psicoterapie "strategiche" basate sulle "evidenze" tanto in voga oggi, appaiono infatti come un'enorme impalcatura difensiva contro l'intera irrazionalità umana e quei suoi mostri, demoni e belve che ben poco possono essere domati dalla misera razionalità dell'Io. All'interno di una cultura in cui si persegue crescita illimitata e movimento, il fenomeno della psicologia positiva, come alcune derive umanistiche, esasperando il "benessere", le forze ascendenti e gli aspetti diurni della vita psichica, non sono che le figlie legittime del panorama dinamico odierno. Queste psicologie, essendo prive di quello spessore tipico che dona la presenza dell'ombra, forniscono un'idea ingenua, superficiale e idealizzata dell'essere umano, ignorando del tutto "la visione tragica dell'uomo esistenziale, irrazionale e patologico" (ibid., p. 134). Questo modo psicologico di intendere l'uomo - dove il paziente diventa cliente, guarda caso come nel vocabolario del commercio - riflette una posizione maniacale che intende negare l'aspetto depressivo (mortifero) intrinseco della natura umana (per approfondimenti...), finendo per diventare malattia travestita da salute: "invece di esser un nuovo mezzo per affrontare la psicopatologia, è essa stessa uno stato psicopatologico dissimulato" (ibid., p. 136).
La salute, come totalità, è completamento dell'individuo, dunque comprende anche il lato oscuro della vita: i sintomi, la sofferenza, la tragedia e la morte. Totalità e salute, dunque non escludono questi fenomeni "negativi"; essi sono requisiti della salute. (Hillman, 1997, p. 190)
D'altronde questo modo di intendere la patologia non è altro che il riflesso pop dell'atteggiamento riduzionistico e superficiale (quasi grottesco) da parte della psichiatria "ufficiale" e le sue diagnosi curiosamente così scarse di validità scientifica (vedi il DSM - per approfondimenti...): "il portare le peculiarità della psicopatologia solo in alto, alla luce del giorno e del suo brillante Io, discolora questi strani pesci e finisce per farli morire nei cesti e sulle bancarelle, ordinatamente etichettati, della psichiatria" (Hillman, 1972, p. 181). Utilizzare un'impostazione medica alla malattia, che miri a scacciare via il prima possibile questa presenza estranea e invadente, significa defraudare l'esperienza morbosa del suo significato profondo, cosicché "l'anima è costretta ad ammalarsi sempre di nuovo, finché non ha ottenuto ciò che vuole. Ha inizio così un nuovo circolo vizioso iatrogeno" (Hillman, 1997, p. 239). L'atteggiamento generale della psicoterapia odierna comunica l'idea che la vita possa essere sostenuta solo attraverso la rimozione e la negazione degli abissi terrifici dell'inconscio, o per mezzo di uno stato permanente di distrazioni e diversivi affinché la coscienza possa rimanere continuamente anestetizzata e ignara dei suoi demoni.
Nel momento in cui sono le statistiche di una psicologia evolutiva normalizzante a stabilire i parametri rispetto ai quali giudicare le complessità fuori del comune di un'esistenza, le deviazioni diventano devianze. La malattia vera è la diagnosi sommata alla statistica; e, guarda caso, diagnosi più statistica formano appunto il titolo - 'Manuale diagnostico e statistico' - della guida, universalmente accreditata, pubblicata dalla American Psychiatric Association e adottata da medici, operatori di igiene mentale e liquidatori delle compagnie assicurative. (Hillman, 1996, p. 50).
Il sintomo vuole essere contemplato, non solo analizzato (Hillman, 1996, p. 55)
Eppure, è con la violenza irruente della malattia che si constata "l'irrefutabile prova dell'indipendenza delle forze psichiche" (Hillman, 1972, p. 17), la dimostrazione dell'esistenza di forze oscure che parlano attraverso la sofferenza (il pathos) per potere esprimere le propria profondità. Infatti il sintomo, per quanto possa apparire "stravagante, incomprensibile e straniero" (Hillman, 1975, p. 117), rappresenta l'imposizione (anánke) di un aspetto inconscio che si rifiuta di sottomettersi all'egemonia egoica e che esige attenzione immediata.
Il sintomo è un messaggero venuto dal mondo infero (l'inconscio), che "vuole che la vita fallisca perché vengano riconosciuti altri atteggiamenti" (Hillman, 1985, p. 39). E la sofferenza di cui è foriero il sintomo origina una crepa (HIllman, 1991) attraverso cui l'Io finalmente può accedere in zone sconosciute per trovare una forma migliore, facendo "incrinare tutte le nostre immagini normative di come dovremmo essere" (p. 147). Perché è con l'impotenza della malattia che l'uomo "porta brutalmente alla coscienza la realtà del limite" (Hillman, 1989, p. 239), ossia la sua condizione mortale: "gemere è il segno dell'umano, così come la prima espressione di emozione nel neonato è il pianto, così l'ultima testimonianza di Gesù è il suo lamento sulla croce" (Hillman, 1988, p. 45).
I sintomi sono indirizzati verso il fine giusto, solo che per realizzarlo usano i mezzi sbagliati. Le vette cercano gli abissi: vogliono scendere, non importa come: con il suicidio, accettando contratti rovinosi, con la bancarotta, con i grovigli emotivi più disastrosi. Niente atterraggi morbidi. (Hillman, 1996, p. 77)
La patologia è anche il futuro: in essa giacciono le intuizioni; da essa giunge il movimento. (Hillman, 1985)
Secondo Hillman, questa inflazione della vita diurna della psiche ha dimenticato come la malattia, con la bruttezza, l'infelicità, la distruttività e la follia che la sottendono, sia parte costituente della psiche stessa secondo quel processo di "patologizzazione" che sta ad indicare "sia la capacità autonoma della psiche di creare malattie, stati morbosi, disordini, anormalità e sofferenze in ogni aspetto del suo comportamento, sia quella di avere esperienza della vita e di immaginarla attraverso questa prospettiva deformata e tormentata" (Hillman, 1975, p. 121). In altre parole, la follia insita nella malattia, nella perversione, nel male non è un inghippo di percorso del processo di crescita primario dell'uomo, un guasto della mente da riparare prontamente come un'erbaccia da estirpare, bensì l'Ombra (Jung), la pulsione di Morte (Freud) presente accanitamente in ogni aspetto psichico e in ogni forma dell'esistenza.
Secondo Hillman, questo processo di patologizzazione è necessario alla psiche per potere compiere un passaggio di trasformazione: essa ha necessità di regredire ad uno stato anteriore non solo per sfuggire dalla realtà, ma anche per ritrovare un nuovo senso, una nuova forma. Perché, come insegnava l'alchimia (Hillman, 2007a), per poter arrivare alla trasmutazione della materia, era prima necessario un lungo processo di mortificazione, putrefazione, dissoluzione (la nigredo): "soltanto quando le cose di disgregano, le cose si aprono su nuovi significati" (Hillman, 1975, p. 210). Nella prospettiva della mitologia greca, questa trasformazione può essere compiuta solo con la presenza di Dioniso, il dio della follia, il "processo di sciogliere, liberare, lasciare uscire, è dissolvimento, disgregazione, scomposizione, rottura di vincoli e di leggi, scioglimento della trama, per esempio, nella tragedia" (Hillman, 2007b, p. 26). In altre parole la patologizzazione "guasta e rende vivi nello stesso tempo, è una stimolazione mediante distorsione" (Hillman, 1989, p. 217).
L'ombra non è soltanto ciò che l'Io getta dietro di sé e che è sostituito dall'Io con la sua luce, un riflesso morale, rimosso o malvagio che va integrato. L'ombra è la materia stessa dell'anima, l'oscurità interiore che da sotto ci attira fuori dalla vita e ci mantiene inesorabilmente in contatto con il mondo infero. (Hillman, 1979, p.75)
Nei miei disturbi ci sono realmente delle forze che non so controllare e che tuttavia vogliono qualcosa da me e intendono fare qualcosa di me. (Hillman, 1989, p. 220)
In tal senso la regressione altro non è che il ritorno alla vita psichica della fanciullezza (l'archetipo del Puer), il bambino eterno della vita uterina (per approfondimenti...), nel primo luogo dove si fantastica "originariamente". E' il bambino che si rifiuta di crescere per adattarsi alla realtà e continuare ad appartenere al mondo immaginale della fantasia (l'inconscio), dove la creatività, con i suoi parti geniali e mostruosi, fa da regina: "gli Dei della creazione sono gli Dei della distruzione" (Hillman, 1972, p. 49). E' il bambino che non vuole superare la nostalgia di quel paradiso perduto e che è costretto a vivere la sua condizione di bisogno, fragilità, dipendenza: essa corrisponde a "quei luoghi inaccessibili nei quali siamo sempre esposti e timorosi, dove non possiamo apprendere, amare, sottrarci trasformando, rimuovendo o accettando, sono i deserti, le caverne dove il bambino abbandonato giace nascosto" (Hillman, 1989, p. 237).
Noi siamo contorti nell'anima perché l'anima è per natura e di necessità in una condizione tortuosa. Non possiamo né essere spiegati, né raddrizzati. La distorsione psicopatologica è la condizione primaria data con la nostra complessità, il serto di spine o la ghirlanda di alloro che ci incorona sempre nel tortuoso sentiero attraverso il labirinto che non ha uscita. Come disse Jung, i complessi sono la vita stessa; sbarazzarsi di essi significa sbarazzarsi della vita. (Hillman, 1972, p. 209)
La contemporaneità invece esalta una cultura solare dove la psicologia ha connotato solo con predicati negativi le componenti mortifere, distruttive e regressive della psiche e dove i sintomi sono solo impedimenti senza motivo di cui disfarsene al più presto. Invece la stessa mitologia greca ricorda come vi sia un legame indissolubile tra l'essenza umana e il mondo notturno con i suoi incubi, la lunaticità della follia, il regno dei morti... gli stessi Dei greci sono folli, tempestati da ombre, afflizioni, aspetti anormali (infirmitas) e tutti "comportamenti che, da un'ottica secolare, andrebbero classificati come patologia criminale, mostruosità morale o disturbi della personalità" (Hillman, 1991, p. 95).
Qualunque azione rivolta contro la morte, qualunque azione che si opponga alla morte, nuoce alla vita. (Hillman, 1997, p. 95)
Forse, tra tutte le psicopatologie, è attraverso la depressione che si entra nelle profondità di Ade, il mondo sotterraneo che sostiene la vita di sopra (per approfondimenti...). Essa impone un totale ritiro dal mondo dei "vivi" sotto la spinta di Saturno e la sua introversione tinta nera (Klibansky et al., 1983), ossia "l'attrazione gravitazionale verso il basso e l'interiore [...] l'inverno, la notte, la morte e la distanza" (Hillman, 1985, p. 264). La depressione, con la sua immobilità senza via d'uscita, rappresenta un arresto dell'Io nel fondo buio e nel vuoto più recondito dove si perde ogni speranza di risalta verso la luce. In ultima istanza, essa può essere intesa come "una richiesta impellente di una vita più piena attraverso l'esperienza della morte" (Hillman, 1997, p. 101). La morte diventa cioè la forza distruttiva necessaria per demolire l'ordine costituito e aprire le porte al nuovo: "il fiore avvizzisce intorno alla capsula gonfia di semi, il serpente lasca cadere la vecchia pelle, l'essere umano adulta si sbarazza dei comportamenti infantili" (ibid., p. 107). La stessa crescita richiede costantemente la presenza del sacrificio per amputare ciò che è diventato superfluo o nocivo, il bisogno di fare del vuoto, il momento della strada senza via d'uscita: "l'esperienza della morte è una condizione necessaria per la vita psichica" (ibid., p. 120) e "la trasformazione ha inizio a questo punto, quando non c'è speranza" (p. 145). E in tale prospettiva, il suicida è colui non ha potuto fare esperienza della morte in nessun altro modo se non attraverso l'atto concreto, letteralizzando questo bisogno della psiche negato altrove.
Non fu la voce con voce di speranza che Gesù gridò: "Elì, Elì, lamà sabactàni?" (Mt., 27, 46). Il grido sulla croce è l'archetipo di ogni grido di aiuto. Vi risuona l'angoscia del tradimento, del sacrificio, della solitudine. Non è rimasto più nulla, nemmeno Dio. La mia unica certezza è la mia sofferenza, che chiedo sia allontanata da me con la morte. Una consapevolezza animale della sofferenza, e la piena identificazione con essa, diventano l'umiliante terreno della trasformazione. La disperazione fa entrare l'esperienza della morte ed è al tempo stesso il requisito per la resurrezione. La vita quale era prima, lo status quo ante, è morta quando è nata la disperazione. Esiste solo il momento così come è, il seme di ciò che verrà, quale che sia: se sapremo attendere. L'attesa è tutto e si attende insieme (Hillman, 1997, p. 145)
Forse tutti i nostri pezzi mancanti e le nostre sfortune sono in realtà delle benedizioni che fanno di noi quelle persone particolari che siamo. (Hillman, 1992, p. 84).
Il sogno rappresenta il connubio tra sonno (Hypnos) e Morte (Thanatos), ossia la ricongiunzione con il mondo infero, le profondità ctonie popolate da ombre. Là i sogni mantengono la loro capacità di sorprenderci, sconvolgerci, affascinarci con immagini di una bellezza straordinaria e poetica, ma anche colmarci d'orrore coi contenuti più scabrosi della psiche: cadaveri, edifici in fiamme, cose che cadono in mille frantumi, marciume, mostri, brutali assassini, bare, loculi e cripte, disastri ambientali, animali decomposti, presagi di morte, ecc... "ogni volta che incontriamo queste immagini e inizia un nuovo giro di sofferenze, è un pezzo di vita che viene abbandonato, e dobbiamo passare attraverso la perdita, il lutto, il dolore. E la solitudine e il vuoto. Ogni volta qualcosa è giunto alla fine" (Hillman, 1997, p. 119).
Il sogno rappresenta dunque un "processo digestivo che scompone e assimila il mondo diurno nei labirintici budelli della psiche" (Hillman, 1979, p. 122), il ritorno al mondo delle pure immagini nella loro "opacità, elusività, equivocità, indefinitezza" (ibid., p. 155). Ma è da ricordare che l'iniziazione al regno di Ade è sempre anche quello di Plutone, con la sua cornucopia traboccante di ricchezze, e quello di Dioniso (la danza della Morte): se dapprima la discesa è accompagnata da terrore e smarrimento, "man mano che l'occhio della mente si dilata nel buio" (ibid., p. 237), si troverà nel mondo notturno anche il suo balsamo.
Così come il sogno è guardiano del sonno, alla stessa stregua il lavoro onirico di ciascuno di noi sta a protezione delle profondità dalle quali il sogno nasce: l'ancestrale, il mitico, l'immaginale e tutte le nascoste essenze invisibili che governano la nostra vita. I sogni sono i vigili fratelli del sonno, della confraternita della morte, araldi, sentinelle di quella notte imminente; e forse il nostro atteggiamento nei loro confronti andrebbe modellato su Ade, che accoglie, è ospitale e tuttavia conduce inesorabilmente nel profondo, è in sintonia con il notturno, l'opaco ed è dotato di una paurosa fredda intelligenza che offre permanente rifugio, nella sua casa, agli stati incurabili della nostra umanità. (Hillman, 1979, p. 250).
Soltanto l'inconscio può salvarci: la nostra salvezza è nella nostra patologia. (Hillman, 1992, p. 189)
Probabilmente Freud ha ragione quando afferma che abbiamo costruito la civiltà per tenere fuori la follia, e con le nostre case gradevoli e le nostre vite gradevoli cerchiamo di fare la stessa cosa nel privato: tenere fuori la follia. Ma lei non se ne va; è proprio lì, sempre, in attesa, che cerca di entrare. E una volta entrata, non si placa facilmente. [...] Credo che per proteggerci dalla pazzia dobbiamo ogni giorno propiziarci la follia. (Hillman, 1992, p. 208-211)
In un certo senso, si potrebbe affermare che se nel mondo c'è tanto orrore, degrado e bruttezza non è perché l'uomo non si è impegnato abbastanza a crescere, migliorarsi ed essere "positivo", ma perché ha perduto il contatto con l'oscurità e la follia che da sempre lo abitano. E, come più volte ha sottolineato Jung, quando ai demoni non viene accordato lo spazio e il riconoscimento dovuti, essi diventano malattie. Dunque, se in quest'epoca la malattia (soprattutto quella depressiva) è tanto dilagante, forse è perché la patologia è rimasta "l'unico modo in cui gli dèi possono svegliarci" (Hillman, 1996, p. 343), la sola maniera per accorgersi dell'orrore che abita l'uomo come la società, nonostante il loro maniacale inno ad una vita senza vuoto, dolore, morte. La diffusione dilagante di queste cosiddette "terapie diurne" che cercano di puntellare angosciosamente le difese della coscienza per tentare di "aggiustare" qualcosa di rotto e sbarazzarsi così del sintomo, sono diventate esse stesse sintomi di una malattia del mondo (Hillman, 1992). Mentre la conoscenza di sé stessi non può che essere un viaggio nel profondo, e quindi "una discesa nell'abisso del disordine" (Hillman, 1972, p. 59), dove la prima scoperta fondamentale consiste proprio nella constatazione di quanto la coscienza sia limitata da forze potenti con le quali a ben poco può servire la persuasione della razionalità. Non considerare adeguatamente l'oscurità irrazionale, morbosa e caotica della psiche significa perderne anche il primordiale potere dionisiaco.
Il mondo infero è finito nell'inconscio: è addirittura diventato l'inconscio. E' la psicologia del profondo il luogo in cui troviamo oggi il mistero iniziatico, il lungo viaggio di apprendistato psichico, il culto degli antenati, l'incontro con demoni e ombre, i patimenti dell'inferno. (Hillman, 1979, p. 85)
Riferimenti bibliografici
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Hillman J. (1988). Saggi sul Puer. Raffaello Cortina, Milano, 2024.
Hillman J. (1989). Fuochi blu. Adelphi, Milano, 2024.
Hillman J. (1991). La vana fuga degli dèi. Adelphi, Milano, 2024.
Hillman J. (1992). Cent'anni di psicoanalisi. E il mondo va sempre peggio Mondadori, Milano, 2022.
Hillman J. (1996). Il codice dell'anima. Adelphi, Milano, 2022.
Hillman J. (1997). Il suicidio e l'anima. Adelphi, Milano, 2021.
Hillman J. (2007a). Psicologia alchemica. Adelphi, Milano, 2021.
Hillman J. (2007b). Le figure del mito. Adelphi, Milano, 2014.
Hillman J., Shamdasani S. (2013). Il lamento dei morti. Bollati Boringhieri, Torino, 2024.
Klibansky R., Panofsky E., Saxl F. (1983). Saturno e la melanconia. Einaudi, Torino, 1991.
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